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Dietro i confini della nazione più inaccessibile al mondo si nasconde un commercio illegale enorme e rimasto nell'ombra: quello della fauna selvatica. Un nuovo studio recentemente pubblicato sulla rivista Biological Conservation e condotto da un team internazionale guidato dall’University College London (UCL), ha infatti portato alla luce la portata e il coinvolgimento diretto del governo nordcoreano nel traffico illegale di animali selvatici, comprese specie protette dalla stessa legislazione nazionale.
A essere trafficati, uccisi e allevati illegalmente sono anche specie minacciate come l'orso dal collare, il goral dalla coda lunga (un ungulato montano simile a una capra) e la lontra. Gli animali finiscono soprattutto nei mercati cinesi sotto forma di carne, pellicce o ingredienti per la medicina tradizionale. Una filiera che parte dalle catture in natura e arriva fino ai laboratori erboristici, alimentata da povertà, fame e dal bisogno dello Stato di generare entrate.
Un traffico illegale di Stato

Lo studio, il primo a fornire una panoramica così dettagliata sul commercio di fauna selvatica in Corea del Nord, si basa su interviste fatte a disertori nordcoreani e persone rifugiate all'estero: ex cacciatori, intermediari del mercato nero e semplici acquirenti. Il quadro che emerge è davvero inquietante: in un Paese dove la fame può spingere alla caccia di qualsiasi animale selvatico, lo stesso governo autorizza, organizza e trae profitto da questa filiera illegale. E non si parla solo di caccia di sussistenza.
In Corea del Nord esistono vere e proprie "fattorie", dove si allevano illegalmente e tra atroci sofferenze gli orsi per estrarne la bile, una pratica già nota in Cina e Corea del Sud, ma anche lontre, cervi e altri animali selvatici. Un'industria della sofferenza alimentata dalla domanda di prodotti derivati da specie in pericolo, ma che mina qualunque tentativo di conservazione. "La raccolta diffusa della fauna selvatica in Corea del Nord è una minaccia concreta alla biodiversità dell'intera regione", ha detto Joshua Elves-Powell, autore principale dello studio.
Fame e difficoltà economiche alimentano il mercato nero

La povertà, le carenze alimentari e la mancanza di beni essenziali hanno alimentato il fenomeno fin dagli anni 90, quando il collasso economico e la carestia che colpì il paese tra il 1994 e 1998 – e che si stima abbia causato fino a un milione di morti – hanno costretto la popolazione a sopravvivere come poteva. In quegli anni nacque un'economia informale, alternativa, in cui anche gli animali selvatici e protetti sono diventati una preziosa merce di scambio.
Oggi, nonostante alcuni miglioramenti economici, la caccia illegale e i traffico di animali continuano. Secondo le testimonianze raccolte, i cacciatori si muovono soprattutto su due fronti: vendono parte dell'animale direttamente allo Stato e il resto sul mercato nero. Una singola preda – come per esempio una volpe – può fornire carne per sfamare la famiglia e la pelliccia da vendere ai contrabbandieri che attraversano il confine con la Cina.
Una minaccia concreta per la biodiversità

La pressione sulla fauna nordcoreana è tale che quasi tutti i mammiferi selvatici con un peso superiore a mezzo chilo vengono stati colpiti. Lo zibellino, una specie di martora asiatica particolarmente ricercata per la sua pelliccia, si è probabilmente già estinto nel paese. Cervi, leopardi dell'Amur e tigri siberiane sono in forte declino o ancora presenti con piccolissime popolazioni ormai a un passo dall'estinzione, ma il rischio non riguarda solo la fauna all'interno dei confini nordcoreani.
Se un tale pressione continuerà, la Corea del Nord potrebbe diventare un punto critico per la biodiversità dell’intera penisola. Le tigri siberiane, per esempio, sono tornate recentemente a popolare le regioni al confine con la Cina. Se dovessero varcare il confine o provare a espandere ulteriormente il loro areale, potrebbero facilmente essere uccise. Il paese, inoltre, rappresenta un ponte naturale per la sosta durante a migrazione da nord a sud per tantissime specie di uccelli migratori, alcuni già a rischio estinzione.
La Cina è chiamata a intervenire

Le conclusioni degli autori sono chiare: il commercio illegale e non sostenibile di fauna selvatica è probabilmente una delle cause principali del declino degli animali selvatici in Corea del Nord, un fenomeno che inoltre minaccia anche gli obiettivi di conservazione dei paesi vicini, con scambi commerciali transfrontalieri che violano anche gli impegni presi da questi stessi paesi, come la Cina, con la CITES o le Nazioni Unite. La comunità internazionale, in particolare Pechino – principale acquirente di questi prodotti – è quindi chiamata a intervenire.
Non solo rafforzando i controlli doganali e riducendo la domanda interna, ma anche esercitando una pressione diplomatica su Pyongyang affinché rispetti le sue stesse leggi e le convenzioni internazionali a tutela della biodiversità. Il traffico illegale che emerge da questo studio, dimostra inoltre come la profonda deprivazione umana e le difficoltà socio-economiche possano avere un impatto enorme sulla fauna, incentivando lo sfruttamento insostenibile delle specie. Umani e biodiversità, vanno sempre di pari passo.