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Sono solo gli ultimi in ordine di tempo, ma come loro in tutta Italia si nascondono cani usati per i combattimenti clandestini da sfruttare per fare business e che sono, invece, da allontanare il più presto dai loro aguzzini. Alba, Goccia, Brodo e Sugo: si chiamano così, oggi, i quattro Pitbull che ora sono seguiti dalla Fondazione Cave Canem e il cui recupero è frutto di un'operazione congiunta con le Forze dell'ordine e la magistratura che ha affidato alla ONG con sede a Roma la custodia giudiziaria degli animali.
Conoscere la storia di questi quattro cani è entrare in un mondo sommerso che è ancora vitale in tutto lo Stivale, da Nord a Sud, e che secondo l'ultimo report zoomafia della Lav rientra tra "i crimini più noti" che si compiono a danno degli animali. Ma il fatto che questa modalità di maltrattamento e sfruttamento degli animali sia conosciuta non significa che poi si sappia cosa davvero questi animali patiscono, soprattutto poi quando riguarda una tipologia come i Terrier di tipo Bull in generale su cui pende nell'opinione pubblica un vero e proprio stigma sulle razze che ne fanno parte, appunto come i Pitbull.
Chi sono, dunque, davvero poi questi cani? Che caratteri hanno? Quanto sono "irrecuperabili" come la maggioranza delle persone pensa? Lo abbiamo chiesto a Mirko Zuccari, educatore cinofilo che fa parte della Fondazione Cave Canem e si dedica proprio al recupero comportamentale dei cani che subiscono violenze indicibili come Alba, Goccia, Brodo e Sugo.

Alba, Goccia, Brodo e Sugo sono i quattro cani affidati alla fondazione dopo il sequestro da una situazione di sfruttamento per combattimenti clandestini. Prima di tutto, come stanno?
Tutto sommato stanno bene, anche se presentano i segni di un passato difficile. Mostrano i comportamenti tipici di chi ha vissuto in un contesto traumatico, contesto in cui ogni giorno attendevano costantemente il prossimo scontro o allenamento. Non hanno mai conosciuto davvero il senso di unione, di famiglia, a cui ogni cane ha diritto.
Quello che oggi ci preoccupa di più è lo stress che deriva dalla sospensione dell’addestramento forzato a cui erano abituati. Siamo al lavoro per offrire loro alternative sane e strutturate, che consentano di incanalare le energie e di ridurre il carico emotivo negativo accumulato.

Quando Alba è arrivata da voi avete scoperto che è incinta. Non è una cosa rara, ovvero questi cani non solo sono fatti combattere ma le femmine diventano fattrici. È vero?
Sì, purtroppo accade spesso. Ma non tutte le femmine vengono destinate alla riproduzione: la selezione si basa su criteri precisi, come le capacità dimostrate nei combattimenti o determinate caratteristiche fisiche, ad esempio la struttura muscolare. L’obiettivo di chi sfrutta questi animali è chiaro: produrre una nuova generazione di cani ancora più performanti, da trasformare in strumenti di intrattenimento per una “disciplina” deviata e crudele.

Che ne sarà di questi cani e dei cuccioli?
Per i cuccioli è già previsto un piano di socializzazione precoce, fondamentale per prevenire lo sviluppo di comportamenti problematici legati a caratteristiche genetiche che, nei genitori, sono state esasperate proprio attraverso una selezione distorta. Per gli adulti, invece, stiamo attuando un percorso di recupero individuale, studiato su misura per ciascuno di loro. L’obiettivo è concreto e chiaro: accompagnarli, passo dopo passo, verso un’adozione consapevole e definitiva.
Non è la prima volta che seguite cani di questa tipologia e che hanno subito addestramento per combattere. Ma lì dove ogni cane è un mondo a sé, in cosa consiste il percorso di riabilitazione?
È vero, non è la prima volta che ci troviamo ad accogliere cani che arrivano da contesti di combattimento. E se è vero che ogni cane è un mondo a sé, ci sono elementi ricorrenti che non possiamo ignorare. Uno su tutti è certamente il trauma ma ancora più determinante è un aspetto spesso sottovalutato: in questi cani, la paura non è solo una conseguenza del maltrattamento, è un comportamento appreso. Viene insegnata, utilizzata come leva per il controllo e la sottomissione.
Questa differenza cambia radicalmente l’approccio al recupero. Il percorso riabilitativo, quindi, non può limitarsi a far “dimenticare” il passato, ma deve lavorare sul ripristino della fiducia, sulla decostruzione di risposte apprese per difendere la propria vita e sulla costruzione di una nuova relazione con la persona basata sulla sicurezza, sulla fiducia, sulla serenità e sulla comunicazione.
Sono cani che spesso vengono considerati inadottabili ma non si pensa che per questa tipologia il rapporto con l'essere umano è una vera e propria "ragione di vita"
Sì, sono cani, i più, che hanno una grande motivazione affiliativa nei confronti delle persone e, chiaramente, non hanno socializzazione intraspecifica (anzi, l’opposto). Quanto alla pericolosità, lo dico sempre: ogni cane può essere pericoloso, nessun cane vuole essere pericoloso. È la qualità della relazione che costruiamo con loro a determinare quanto saranno equilibrati.
Quali sono le difficoltà oggettive nel percorso di riabilitazione che si fa con questi cani e quali invece i vantaggi?
Sono animali fisici, semplicemente. La loro comunicazione, in tutte le forme, passa attraverso il corpo: esprimono i bisogni con il movimento, con il contatto, con la bocca. Se si accetta questo livello di comunicazione e lo si comprende – non per reprimerlo, ma per incanalarlo nel modo giusto – gran parte del lavoro è già fatto.
Il ruolo della Fondazione e il profilo del "dog fighter"
Il lavoro che svolge Cave Canem sul recupero dei cani sfruttati nei combattimenti clandestini e anche da altre forme di maltrattamento viene da molto lontano. A Federica Faiella, la fondatrice, abbiamo dunque rivolto delle domande specifiche che riguardano il fenomeno in quanto tale.

Recentemente in Senato avete presentato i risultati della ricerca che avete compiuto insieme a Humane World for Animals Italia nell’ambito del progetto #IoNonCombatto, nato per prevenire e contrastare il fenomeno dei combattimenti clandestini tra cani. Quali sono gli aspetti più importanti da mettere in luce?
La collaborazione con Humane World for Animals Italia, iniziata nel 2020, si sta rivelando uno strumento prezioso nella lotta ai combattimenti clandestini tra cani, un fenomeno criminale tanto subdolo quanto capillarmente diffuso. Proprio per questo, il progetto #IoNonCombatto ha adottato un approccio trasversale e integrato, che agisce su più livelli: dalla sensibilizzazione dei cittadini all’informazione nelle scuole, dalla divulgazione scientifica al supporto alle forze dell’ordine, fino alla proposta e attuazione di modifiche normative e all’intervento operativo sul campo. Insieme ai colleghi e alle colleghe di Humane World for Animals, abbiamo posto grande attenzione anche al ruolo della cittadinanza attiva, realizzando e distribuendo la “Guida al cittadino: come riconoscere i segnali dei combattimenti sul territorio”. Uno strumento concreto per aiutare le persone a diventare parte della soluzione, contribuendo alla prevenzione e alla denuncia.
Chi sono i dog fighter? Che idea vi siete fatti di queste persone?
I dog fighter si collocano lungo uno spettro che va da soggetti inseriti in contesti criminali organizzati fino a individui che agiscono in modo “autonomo” o semi-strutturato, spesso all’interno di reti informali ma comunque pericolose. Ciò che emerge con chiarezza è che non si tratta solo di “delinquenti occasionali”. In molti casi si rileva una vera e propria cultura del combattimento, sostenuta da una visione distorta della relazione uomo-cane, in cui l’animale è ridotto a mezzo per ottenere prestigio, denaro o potere. I cani vengono selezionati geneticamente, addestrati in modo coercitivo e spesso sottoposti a pratiche violente che mirano a esaltarne l’aggressività intraspecifica, annullandone al contempo la capacità di autoregolarsi.
I dog fighter si scambiano informazioni attraverso canali riservati, utilizzano linguaggi in codice e organizzano incontri in luoghi appartati, con regole precise e una struttura che, in alcuni casi, replica modelli da competizione sportiva. Far combattere due cani è una forma di intrattenimento, addestramento o “test” di valore. Ed è proprio questa banalizzazione della sofferenza a rendere così difficile intercettare e contrastare il fenomeno.
Ritornando ai cani, ad ora quanti casi avete oltre questi ultimi quattro?
Abbiamo seguito numerosi casi analoghi. Anche quelli di cani che, pur non direttamente coinvolti in combattimenti, manifestavano gravi disagi comportamentali riconducibili a maltrattamenti subiti ed etichettati come “irrecuperabili”. La nostra azione si sviluppa grazie a una collaborazione sinergica con le Forze dell’ordine e la magistratura, possibile perché la Fondazione Cave Canem dispone di un’équipe altamente specializzata: un team di campo coordinato dal nostro dog trainer manager Mirko Zuccari, specializzato nel recupero di cani con problematiche comportamentali complesse, un team legale dedicato alla tutela giuridica degli animali, che lavora per ottenere la custodia giudiziaria dei cani e difendere i loro diritti nei procedimenti penali.
Quanto è difficile ottenere l’affidamento da parte della magistratura? O, meglio, qual è la prassi per seguire questi cani come fate voi?
Ottenere l’affidamento da parte della magistratura non è semplice: richiede professionalità, credibilità e un supporto costante agli organi inquirenti. L’acquisizione della custodia giudiziaria da parte della Fondazione significa: garantire un futuro diverso a quegli animali, intervenendo subito con percorsi di recupero comportamentale; supportare la magistratura con relazioni tecniche, aggiornamenti periodici e gestione logistica; lavorare perché gli aguzzini vengano puniti, assicurandosi che gli animali non tornino mai più nelle mani sbagliate; offrire una speranza concreta di rinascita: con tempo, competenza e cura, molti di questi cani riescono a uscire da una condizione estrema e ritrovare equilibrio e fiducia,fino ad arrivare — quando possibile — all’adozione.