
"Per ogni lupo che torna in libertà ce ne sono tanti altri per cui si arriva troppo tardi. È l'impatto dell'uomo sulla biodiversità, e il ruolo del fotografo naturalista è quello di raccontarlo attraverso la forza delle immagini". Così Gianluca Damiani spiega a Fanpage.it cosa vuol dire raccontare le storie di lupi in Italia, un paese la cui gestione di questo grande carnivoro è sempre più spesso marginalizzata e affidata al bracconaggio.
Damiani da oltre dieci anni si occupa di svelare la complessità del rapporto tra essere umano e lupo. Lo fa seguendo con la sua macchina fotografica non solo gli animali nel loro habitat naturale ma anche veterinari, guardiaparco, e tutti gli operatori che rendono possibile questa coesistenza.
Coesistenza di successo: la storia della lupa Sibilla

In Italia c'è un caso che racconta come l'impatto negativo dell'uomo sulla fauna selvatica possa essere mitigato grazie ai professionisti del settore: quello della lupa Sibilla. "Era l'inverno 2023 quando una giovane lupa è stata trovata in difficoltà in un'area marginale del Parco nazionale dei Monti Sibillini. Era molto piccola e in condizioni difficili", ricorda Damiani che ne ha seguito la guarigione e il lungo percorso per permetterle di ritornare in natura.
"Vedere un lupo in difficoltà, in un ambiente chiuso, circondato da umani, le prime volte mi ha fatto un certo effetto perché siamo abituati a vedere i lupi da lontano, col binocolo, mentre corrono in montagna. Poi però li vediamo piccoli, dentro una gabbia e feriti. Questo è un ossimoro perché il lupo rappresenta la natura selvaggia, è un animale che rompe le regole, e vederlo in cattività senza la libertà di muoversi è l'opposto di quello che dovrebbe essere".
I cuccioli come Sibilla non dovrebbero restare soli, ma spesso i genitori finiscono vittime dell'essere umano. Quando i piccoli vengono poi recuperati non è scontato che possano tornare in libertà: alcuni si abituano alla presenza dell'essere umano e per loro la reintroduzione in natura non è possibile. Nel caso di Sibilla, invece, è stato fatto di tutto per darle una seconda occasione, e dopo oltre 5 mesi trascorsi tra l’Ospedale Veterinario Didattico dell’Università degli Studi di Perugia e il Cras di Castelsantangelo sul Nera, gestito dal Parco stesso, è stata liberata: "Dopo il recupero da parte dei tecnici del Parco è stata liberata e monitorata con un collare GPS".
Quella di Sibilla non è un caso isolato: "Un altro recupero è avvenuto in Umbria, dove un giovane lupetto è stato investito su una strada – spiega il fotografo – È stato salvato e messo sotto le cure del Cras WildUmbria. La particolarità è che i volontari hanno trovato il suo branco di origine ed è stato liberato lì. Io ho seguito tutto il processo e per la prima volta mi sono sentito di aver riconnesso qualcosa che si era spezzato. Per questo, soprattutto negli ultimi anni, mi sono concentrato non solo sui lupi liberi e selvaggi, ma anche su storie umane che riguardano le persone che lavorano con questi animali".
"Quando si parla del lupo non si può non menzionare il conflitto con gli umani. Ogni anno muoiono migliaia di lupi per cause antropiche, e molti vengono bracconati. Quindi diventa importantissimo lo sforzo di tante persone che lavorano per la conservazione, per la ricerca e per il monitoraggio sul territorio". Alcune di queste vicende animali e umane sono finite nel fotolibro "Storie di Lupi", edito dall'Associazione Culturale Obiettivo Mediterraneo, figlio di un progetto che unisce linguaggi e strumenti diversi: fotografia, illustrazione, racconto, ricerca scientifica e comunicazione digitale.
"È un modo per documentare tutte le attività di conservazione e ricerca che a volte finiscono in secondo piano – spiega Damiani – Per questo volevamo unire tutte queste forme di comunicazione per un singolo scopo: quello di migliorare la coesistenza con i predatori e rendere il grande pubblico più consapevole".
"È importante mostrare la natura e l'impatto umano senza filtri "

Mai come negli ultimi anni la fotografia naturalistica ha avuto una impennata di popolarità, non sempre positiva, che ha condotto nuove persone persino sulle cime dell'Himalaya, e in Antartide, dove i turisti stanno rischiando di portare nuovi virus letali per le popolazioni di pinguini. "La fotografia naturalistica negli ultimi anni ha preso molto piede per via dell'accessibilità dei materiali ma anche per le mode che arrivano dai social – sottolinea Damiani – Ci stiamo dimenticando che si tratta di un lavoro, non solo di una passione, e come tutte le professioni se è fatta nel modo giusto può aiutare moltissimo la conservazione. Le immagini hanno un impatto potente, raggiungono tante persone e accompagnano anche i risultati della ricerca scientifica".
Il ruolo del fotografo naturalista quindi fa la differenza: "Foto giornalismo, foto di denuncia, va bene tutto quello che è fatto con professionalità e che mostra senza filtri il mondo naturale e l'impatto dell'uomo su di esso".
Tutte le foto sono gentilmente concesse da Gianluca Damiani