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15 Maggio 2025
13:40

Dagli esseri umani agli altri animali: i segreti e le bugie sulla leadership delle femmine

Per secoli la scienza ha guardato a tutte le specie, umani compresi, con un approccio culturale maschilista e patriarcale. La natura ci insegna che la divisione dei compiti è relativa e non è attribuibile un ruolo primario al maschio rispetto alla femmina. Anzi: ci sono specie in cui la leadership è segnata dal cromosoma X.

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Il femminile ha attraversato in tutte le specie millenni di evoluzione, resistendo alle narrazioni di parte attraverso la cura, la memoria e una potente capacità di generare e guidare. Eppure, questa forza – biologica e simbolica – è stata per secoli oscurata da versioni costruite all'interno di un modello patriarcale. Un modus operandi che ha cercato, con pazienza e spesso violenza anche solo culturale attuata in modo sistematico, di riscrivere pure la natura attraverso una lente prettamente maschile.

L'osservazione del regno animale non è stata risparmiata da questa modalità di controllo, da narrazioni e ricerche scientifiche anche viste sempre con un occhio asservito alla ‘dittatura del cromosoma Y' e con un tono anche paternalistico nei confronti del femminile animale, mutuando l'antropocentrismo maschile anche su altre creature.

Anche Darwin, del resto, non è stato esente da questa modalità di approccio di studio degli altri esseri viventi, tanto che ne "L'origine dell'uomo e la selezione sessuale", (1871), scrisse nero su bianco che “Il maschio è più grande, più forte, più aggressivo. La femmina è meno sviluppata per il combattimento, ma si distingue per la sua selettività.” In poche parole, il padre della teoria sull'evoluzione delle specie dava valore alla predominanza dei maschi che competono tra loro per l’accesso alle femmine, mentre queste ultime hanno il mero compito di selezionare, ma in modo passivo, i partner migliori per la riproduzione. Il ruolo attivo, dunque, era loro negato e l'immagine che si è sviluppata nel tempo – come prodotta da un rullino fotografico sempre identico – è stata quella di un sesso di serie B che non ha mai avuto un ruolo attivo nella dinamica della sopravvivenza e del potere sociale.

Ma il tempo dà ragione a chi non cede, a chi riesce a guardare oltre ciò che è già stato scritto e dato per scontato e nel 2024 Dopo Cristo siamo arrivati, finalmente, a poter dire con certezza che le cose non stanno così e non sono andate così come ce le hanno inculcate. In natura le femmine non sono comparse secondarie: sono leader e creatrici. Ed è la biologia, non l'ideologia, a spiegarcelo.

Ci sono volute donne e anche uomini dalla mente aperta e soprattutto dall'anima onesta, come la scienza del resto vuole che si compiano gli studi, per scrollarsi di dosso tomi e letteratura creata sotto il velo di una cultura di parte. Sarah Blaffer Hrdy, primatologa e antropologa evoluzionista, è stata una delle prime scienziate a mettere in discussione le teorie evoluzionistiche classiche e nel suo libro "The Woman That Never Evolved" ha ad esempio dimostrato come in moltissime specie sono le femmine a scegliere, a competere e a guidare i branchi. L'etologo Frans de Waal, che ne ha parlato anche su Kodami, ha messo in evidenza ad esempio come i bonobo – tra i nostri parenti più prossimi – sono dominati dalla leadership femminile e quanto grazie proprio a ciò questa specie abbia dato vita a società più cooperative, meno violente e più stabili.

Lontano dal confronto con altre specie e rimanendo del resto solo nel nostro mondo umano, Jared Diamond, in "Armi, acciaio e malattie", ha ampiamente chiarito quanto il passaggio all’agricoltura e alla proprietà privata ha portato ad una regressione della condizione femminile, che nelle società ugualitarie di cacciatori-raccoglitori era centrale, anche spiritualmente.

Oggi ancora tutto ciò non è universalmente compreso o accettato ma appunto la scienza ha fatto molti passi in avanti e come ha detto la filosofa Maria Zambrano "la natura non ha mai preteso uguaglianza, ma equilibrio", giusto per chiarire che non si tratta di una ‘lotta' tra i sessi e manco tra i generi ma della necessità di trovare e apprezzare un'omeostasi necessaria al benessere di tutti gli esseri viventi, a prescindere dal cromosoma di ‘appartenenza biologica'.

Ancora dobbiamo imparare a riconoscere e a vedere la vita per quella che è, dunque, proprio perché per secoli nessuno ce lo ha insegnato correttamente, senza preconcetti o pregiudizi. Ecco dunque alcune specie in cui la leadership è appannaggio delle femmine. Ma cosa intendiamo per leader? Come ha scritto l'etologa Federica Pirrone su Kodami: "si intende quell’individuo che ha la maggior influenza sulle decisioni collettive all'interno di un gruppo, soprattutto sulle decisioni che riguardano gli spostamenti durante i viaggi, la ricerca del cibo e la risoluzione dei conflitti all'interno del gruppo e tra gruppi diversi. La tendenza di un individuo ad assumere la leadership dipende da una combinazione di più fattori quali la sua motivazione, l’età, la personalità, lo stato sociale, le competenze e, appunto, il suo sesso".

Iene maculate: la forza della matriarca

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Tra le iene maculate (Crocuta crocuta) la società è ferocemente matriarcale. Le femmine sono più grandi, più aggressive e socialmente dominanti. Ogni clan ha una matriarca che stabilisce l’ordine, guida la caccia e trasmette lo status ai suoi cuccioli. Anche il figlio di una matriarca ha più status di un maschio adulto estraneo e ciò fa comprendere quanto il potere sia ereditato e consolidato attraverso linee femminili. Un modello sociale efficiente, stabile, adattativo.

Uno studio molto noto in campo scientifico sul matriarcato nelle iene è quello che è stato condotto della biologa evoluzionista Kay E. Holekamp, considerata una delle massime esperte mondiali su questa specie. La sua ricerca sul campo va avanti da oltre 30 anni e l'esperta è così riuscita a documentare la sofisticata struttura sociale delle iene andando anche a smontare il luogo comune che vuole che siano creature caotiche e “sporche”.

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Pesci angelo: solo le femmine sono fertili

Tra le barriere coralline, i pesci angelo del genere Centropyge vivono in veri e propri harem in cui una sola femmina è fertile. Quando questa muore, il maschio dominante fa qualcosa che può sembrarci straordinario ma che fa capire l'importanza delle femmine in questa specie: cambia sesso e diventa la nuova femmina fertile.

Questa trasformazione è chiamata "plasticità biologica" ed è funzionale chiaramente alla continuità della specie: non conta il genere in sé ma fa comprendere quanto il ruolo femminile sia fondamentale alla sopravvivenza collettiva.

Elefantesse: la memoria del branco

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Alla guida delle elefantesse africane c'è sempre una matriarca. La sua autorevolezza non nasce dalla forza fisica ma dalla grande e profonda esperienza. Si usa dire "avere una memoria da elefante" ma sarebbe più corretto dire "da elefantessa". E' la matriarca, infatti, a ricordare i luoghi dove stanziare, i percorsi sicuri e ciò che è legato alla sopravvivenza del branco, come le minacce subite e da evitare in futuro. L'elefantessa sa: decide quando è arrivato il momento di muoversi, dove fermarsi e come difendere i piccoli.

Uno studio condotto in Kenya (McComb et al., Science, 2001) ad esempio ha dimostrato che i gruppi guidati da matriarche più anziane hanno maggiori probabilità di sopravvivere alla siccità.

Le api: una società completamente femminile

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Nel mondo degli alveari, la femmina è l’origine e lo scopo, si può dire ‘mai la fine'. La regina è l’unica a riprodursi ma le operaie costruiscono, nutrono, curano e difendono. I maschi – i fuchi – sono funzionali solo per l’accoppiamento e vengono espulsi subito dopo. Quella delle api è una società fondata su ruoli femminili differenziati e altamente produttivi e che hanno uno scopo collettivo.

Nel 2010 il biologo evoluzionista Thomas D. Seeley, uno dei massimi esperti mondiali di comportamento delle api, dopo decenni di ricerche sul processo decisionale collettivo delle colonie ha pubblicato il libro "In Honeybee Democracy" in cui ha documentato come le api operaie prendano decisioni complesse in modo cooperativo, efficiente e senza gerarchie verticali.

Partenogenesi: generare senza i maschi

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Le lucertole del genere Aspidoscelis, certi insetti e persino squali in cattività possono riprodursi senza l'intervento di un maschio. È la partenogenesi, una forma ormai nota di autonomia biologica. La parola deriva dal greco parthénos (vergine) e génesis (nascita), e ciò che accade è che l’uovo si sviluppa da solo nella femmina, dando origine a un clone della madre. Si tratta di casi in natura che dimostrano che la femmina, in certi ecosistemi, è l’unico soggetto necessario per garantire la continuità della vita.

La biologa evoluzionista Zuleyma Tang-Martínez a tal proposito ha scritto: "Quando una femmina non ha bisogno del maschio per creare la vita, il concetto di potere biologico cambia radicalmente" e nel 2008 accadde un evento che ha cambiato decisamente la modalità di guardare le altre specie dal punto di vista della riproduzione. Allo zoo di Virginia Beach, infatti, fu documentato per la prima volta un caso di partenogenesi in uno squalo martello (Sphyrna tiburo). L'animale aveva vissuto in isolamento da maschi per oltre tre anni e il neonato non aveva alcuna traccia genetica paterna. Altri casi si sono verificati in seguito anche in altre specie come gli squali zebra e gli squali bambù.

E noi umani? Ancora intrappolati tra biologia e cultura

Nella nostra specie, il corpo femminile ha subito una doppia appropriazione: culturale e economica. Donne e uomini ne hanno parlato in diversi ambiti: filosofe e scienziati, biologhe e antropologi. Facciamo giusto due esempi, proprio per dare voce e rendere noto il pensiero di una donna e di un uomo.

Silvia Federici, filosofa e storica, ha riscritto la storia del capitalismo attraverso il corpo delle donne. Secondo Federici la donna è stata privata del suo potere creativo, spirituale, riproduttivo attraverso un lungo processo di controllo: dalla caccia alle streghe alla medicalizzazione del parto.

Jared Diamond, biologo evoluzionista, ha messo in evidenza come nelle società di cacciatori-raccoglitori le donne avevano potere decisionale, partecipavano alla vita economica e spirituale, e il femminile era legato alla natura, alla ciclicità, alla saggezza come accennavamo all'inizio.  Il patriarcato non è dunque l’esito inevitabile dell’evoluzione: è una costruzione culturale che ha colpito una parte della nostra specie togliendo a tutti, però, la capacità femminile di organizzare, custodire e indicare la strada da seguire.

La supremazia anche delle femmine in natura non è un’ideologia e tale mai dovrebbe diventare, visto che tutto ciò dimostra quanto una visione parziale della Vita sia deleteria per tutti: c'è ancora  una complementarità dimenticata che va onorata, al fine di una convivenza che porti benessere e speranza di migliorare la qualità di un viaggio chiamato esistenza.

Non serve dunque invertire la piramide ma smettere di immaginare come verticistica la natura e le relative società umane e non che ne fanno parte. Come ha scritto Clarissa Pinkola Estés, il primo passo è ancora che “le donne devono ricordarsi chi sono” ma non bisogna cadere nella trappola in cui altre generazioni di donne sono già finite, chiudendosi in se stesse e così lasciando il campo a un maschile che approfitta anche delle separazioni all'interno del genere. E' una intera società che deve sapere e ricordare chi sono state e chi sono le femmine e guardare la natura è guardare anche noi stessi. E forse, è proprio in quel riflesso che possiamo finalmente ritrovare l’equilibrio perduto.

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