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4 Ottobre 2025
16:30

Con il risveglio dei microbi dal permafrost il cambiamento climatico potrebbero peggiorare

Da anni ricercatori studiano i microrganismi contenuti nel permafrost in Alaska. Un nuovo studio ha verificato che lo scongelamento a causa del riscaldamento globale porta ad un aumento dell'effetto serra perché questi organismi liberano carbonio e metano.

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Hanno almeno 40 mila anni e sono rimasti sepolti nel ghiaccio, ma ora che il permafrost si sta dissolvendo a causa del cambiamento climatico gli scienziati che li studiano da anni hanno ora ancora di più, a causa del cambiamento climatico, l'opportunità di studiare i microbi che "dormono" nelle regioni artiche.

A far riemergere, è il caso di dirlo, di nuovo l'interesse su quello che diversi ricercatori stanno facendo è un nuovo studio firmato da alcuni geologi dell'Università del Colorado che hanno aggiunto dei tasselli utili a comprendere cosa si nasconde dentro il permafrost tra flora, resti animali e, appunto, tutti i microrganismi che sono congelati lì sotto da migliaia di anni.

Il permafrost, ovvero un terreno sottoposto per anni ad una temperatura inferiore a zero gradi, su cui stanno agendo i ricercatori si trova in Alaska e si è formato decine di migliaia di anni fa. "Abbiamo condotto un sondaggio isotopico stabile lipidico (lipid-SIP) su carote di permafrost risalenti al tardo Pleistocene provenienti da quattro località all'interno del Permafrost Research Tunnel vicino a Fairbanks", spiegano nella ricerca in cui evidenziano poi che hanno notato"un ‘lento risveglio' che potrebbe fornire una sorta di cuscinetto tra il calore anomalo e la degradazione del carbonio se il permafrost si ricongela stagionalmente ma rimane anaerobico".

Tradotto significa che il riscaldamento globale con il conseguente cambiamento del clima sta facendo sì che il permafrost si sta scongelando e gli organismi che comprende riescono a "risvegliarsi" di conseguenza. Il punto, però, al di là di titoli sensazionalistici dove si parla di "microbi killer" che potrebbero portare a chissà quali malattie per gli esseri viventi è che invece il loro "ritorno in vita" potrebbe negativamente contribuire a un peggioramento ulteriore proprio delle condizioni climatiche.

"Il permafrost, materiale terrestre ghiacciato contenente suolo, roccia e ghiaccio, ospita più carbonio organico di quanto attualmente sia presente nell'atmosfera sotto forma di CO₂  – spiegano infatti gli autori della ricerca – Con il riscaldamento dell'Artico e lo scioglimento del permafrost, i microbi antichi possono riattivarsi, consentendo la degradazione del carbonio organico accumulato nel permafrost nel corso di millenni, con conseguente rilascio di gas serra".

Il punto dunque è proprio questo: i milioni di microbi sotterrati nel permafrost, una volta scongelati, si nutrono di materia organica, rilasciando metano e anidride carbonica nell'atmosfera. I ricercatori hanno anche provato a misurare i tempi di "ritorno alla vita" dei microrganismi per valutare quanto la loro presenza poi faccia del male al pianeta e hanno scoperto che  "i microbi nel permafrost sotterraneo in fase di scioglimento mostrano inizialmente un lento ‘risveglio' ma entro 6 mesi la comunità microbica subisce cambiamenti radicali".

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