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I lupi sono in aumento in diverse regioni del mondo – Italia inclusa – e negli ultimi tempi uno degli argomenti più utilizzati nel grande dibattito sulla convivenza tra predatori e attività umane è che la caccia finalizzata a ridurre le popolazioni servirebbe a diminuire gli attacchi agli animali allevati. Ma un nuovo studio guidato dall'Università del Michigan e pubblicato recentemente sulla rivista Science Advances sembra decisamente smentire questa convinzione, perlomeno nel contesto degli Stati Uniti occidentali. Qui l'abbattimento legale e sistematico dei lupi, infatti, ha un impatto minimo – e spesso nullo – nella riduzione delle perdite per gli allevatori.
Lo studio condotto negli Stati Uniti
I ricercatori hanno analizzato i dati raccolti tra il 2005 e il 2021 in quattro stati del nord-ovest americano: Montana e Idaho, dove la caccia al lupo è stata legalizzata a partire dal 2009, e Oregon e Washington, dove invece i predatori sono ancora rigorosamente protetti. L'ipotesi iniziale era semplice: meno lupi = meno predazioni. I dati, tuttavia, raccontano una realtà decisamente diversa e – come spesso accade quando si tratta di dinamiche naturali – molto più complessa.
Secondo lo studio, l'eliminazione di un singolo lupo equivale a "salvare" soltanto il 7% di una mucca. Per avere quindi un effetto tangibile bisognerebbe abbatterne almeno 14 per ogni capo di bestiame risparmiato, numeri enormi e incompatibili con la tutela della specie Nonostante la caccia, inoltre, le agenzie federali e statali continuano a essere chiamate dagli allevatori per rimuovere i predatori, segno che la presenza del lupo resta un grosso problema percepito anche lì dove viene regolarmente cacciato.
Nel solo 2024, per esempio, i cacciatori del Montana hanno ucciso ben 297 lupi, eppure gli allevatori hanno comunque denunciato la perdita di 62 animali da allevamento. "La caccia non sta rimuovendo gli impatti negativi associati al lupo – ha spiegato al Guardian Neil Carter, autore principale dello studio –. Gli effetti sulle perdite ci sono, ma non sono consistenti né diffusi". Questi risultati, dunque, sono in linea con altri studi passati condotti sull'argomento, che già hanno sottolineato come gli abbattimenti, da soli, non servono a risolvere i conflitti.
Un dibattito acceso che riguarda anche l'Europa

Se oltreoceano il confronto è acceso ormai da oltre un decennio, anche qui in Europa e in Italia la "questione lupo" è più attuale che mai. Nel dicembre 2023 la Commissione Europea ha infatti deciso di abbassare il livello di protezione della specie, aprendo ulteriormente alla possibilità di deroghe e abbattimenti controllati. Una scelta motivata anche in questo caso dalla necessità di "gestire meglio" i conflitti con le attività umane legate all'allevamento, soprattutto in aree montane e rurali.
Qui in Italia, dove il lupo ha riconquistato rapidamente gran parte dei territori perduti, il dibattito divide amministratori locali, allevatori, associazioni ambientaliste e studiosi di grandi predatori. Da un lato c'è chi chiede piani di controllo e abbattimento per tutelare l'allevamento e ridurre i conflitti, dall'altro chi sottolinea invece come gli abbattimenti non solo non risolvono il problema – come dimostrano i dati statunitensi – ma rischiano anche di destrutturare i branchi e favorire la dispersione degli individui, aumentando la probabilità di attacchi a greggi e mandrie.
Numerosi esperti, inoltre, hanno più volte sottolineato come il declassamento dello status di protezione del lupo in Europa, inoltre, non si basa su dati ed evidenze scientifiche, ma sia solo una decisione politica presa in seguito alle pressioni di una parte della società, come appunto allevatori e associazioni venatorie. "È una decisione politica che non ha nulla di scientifico", aveva infatti spiegato a Fanpage.it Luigi Boitani, presidente del Large Carnivore Initiative for Europe e tra i massimi esperti di grandi carnivori in Europa.
Quali sono le alternative per ridurre i conflitti?
Lo studio americano non vuole entrare nel merito etico o politico della caccia al lupo. L'obiettivo, piuttosto, è capire quali strumenti siano davvero efficaci per ridurre i conflitti. In questo senso, le alternative e le esperienze positive di certo non mancano: cani da guardiania, recinzioni elettrificate, indennizzi rapidi e sistemi di prevenzione condivisi con gli allevatori si sono già dimostrati molto più utili ed efficaci della caccia indiscriminata e preventiva.
Tuttavia, è innegabile che in alcuni casi e contesti particolari gli abbattimenti mirati, soprattutto in caso di animali particolarmente confidenti e specializzati nell'attaccare gli animali allevati, siano purtroppo necessari e possono aiutare a ridurre i conflitti e a migliorare la convivenza e la conservazione della specie. Eppure, si tratta in ogni caso di uno strumento estremo, da attuare solo quando le misure preventive si sono dimostrate inefficaci e lì dove non esistono altre alternative all'abbattimento.
I dati suggeriscono che uccidere preventivamente i lupi e senza affrontare la questione in maniera più ampia e strutturata non è la strada giusta, né in America né in Europa. Se l'obiettivo è davvero ridurre le perdite per gli allevatori, servono politiche di convivenza basate sulla prevenzione e su un dialogo reale tra istituzioni, esperti del settore, mondo agricolo e comunità locali. Perché, al di là dei conflitti, il ritorno del lupo in Europa e in Italia rimane una delle storie di conservazione più importanti e di successo degli ultimi decenni. E va tutelata.