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“Zazie nel metró”: 60 anni fa Raymond Queneau pubblicava uno dei suoi libri più famosi

Nonostante la ragazzina ribelle immaginata Raymond Queneau abbia oggi la bellezza di sessant’anni, le sue avventure nella città di Parigi sono ancora estremamente divertenti, e significative, per una letteratura che ha descritto la realtà attraverso il sogno e il paradosso. Giocando con i personaggi e con le parole lo scrittore francese ha creato un’opera memorabile: era il 1959 quando in Francia usciva “Zazie nel metró”.
A cura di Federica D'Alfonso
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La piccola Catherine Demongeot nei panni di Zazie, nell'omonimo film di Luis Malle (1960).
La piccola Catherine Demongeot nei panni di Zazie, nell'omonimo film di Luis Malle (1960).

Sessant'anni fa Raymond Queneau pubblicava uno dei suoi romanzi più famosi, “il sogno di un sogno, l'ombra di un'ombra, poco più di un delirio scritto a macchina da un romanziere idiota”: lui stesso descrisse così “Zazie nel metró” quando uscì, nel 1959, per Gallimard. In Italia arriverà l’anno seguente con una bellissima traduzione curata da Franco Fortini. Da allora, questo surreale e giocoso racconto è divenuto uno dei più rappresentativi della poetica del gioco linguistico di Queneau: un gioco che, sotto sotto, nasconde la vera faccia della realtà.

Zazie nel metró e la Parigi di Queneau

Sul set del film "Zazie nel metrò", diretto da Luis Malle nel 1960.
Sul set del film "Zazie nel metrò", diretto da Luis Malle nel 1960.

Siamo a Parigi, negli anni Cinquanta. Zazie è una ragazzina ribelle e testarda, a tratti fastidiosa, che da grande vuole fare la maestra o l’astronauta, giusto “per rompere le balle” alle bambine, o ai marziani: la conosciamo alla stazione dove ad attenderla c’è suo zio Gabriel, che per tre giorni dovrà tenerla con sé, e magari farle conoscere un po’ quella città così grande e chiassosa. Ma l’irrequietezza di Zazie non ha limiti, e il giorno dopo la ragazzina scappa di casa, stufa di restare chiusa nell’appartamento dello zio e impaziente di realizzare il suo unico grande desiderio: vedere la metropolitana parigina.

Ma Zazie non la vedrà mai. In compenso la sua fuga si trasformerà in un susseguirsi di avventure e personaggi surreali, così come surreale è l’atmosfera urbana in cui il circo umano immaginato da Queneau si muove. Il metrò resta chiuso a causa di uno sciopero, ma girovagando per la città sia Zazie che suo zio, che nel frattempo è riuscito a riacciuffarla, faranno ugualmente un viaggio con tante fermate: quello attraverso la bizzarria del genere umano.

“Allora, ti sei divertita?”
“Così.”
“L'hai visto, il metrò?”
“No.”
“E allora, che cosa hai fatto?”
“Sono invecchiata.”

“Doukipudonktan”: il francese di Queneau

Lo scrittore francese Raymond Queneau.
Lo scrittore francese Raymond Queneau.

Roland Barthes, nel commentare il libro, spiegò che “per Queneau la Letteratura è una categoria di parola, ossia di esistenza, che concerne tutta l’umanità”: e se le parole sono un gioco, l’esistenza non può essere da meno. Il linguaggio, che in questo libro più che in altri si fa sfuggente, aperto, mai oggettivo, è il corrispettivo di una Parigi inafferrabile, quasi irriconoscibile al punto di poter essere confusa con altre città. A Queneau non importava collocare i suoi personaggi nello spazio e nel tempo: la cosa importante era il linguaggio.

Leggendo le prime parole del romanzo con questa lente, il senso di marcia di tutto il racconto non può che essere più chiaro: lo zio Gabriel è in attesa del treno che porterà sua nipote da lui, e ad un tratto esclama “Doukipudonktan”. Nella versione francese si tratta di una contrazione dell’espressione “D'où qu'ils puent donc tant?” ("Da dove viene così tanta puzza?"), che Franco Fortini riuscì a rendere in italiano con “macchiffastapuzza”.

I giochi di parole, e il gioco serio della realtà

"Zazie dans le metro" di Luis Malle (1960).
"Zazie dans le metro" di Luis Malle (1960).

“Siete buffi, voialtri. Non sapete mai bene quel che pensate. Dev'essere faticoso. È per questo che tanto spesso avete quell'aria seria?”: a parlare e Zazie, ma come spesso accade nei libri di Queneau a parlare è forse proprio l’autore, giocando con i piani narrativi, i dialoghi e le parole, per raccontare la sua personale visione del mondo. Prendendo forse anche un po’ in giro i lettori, soprattutto quelli “seri” che all'epoca dell’uscita del libro vi lessero qualcosa di incomprensibile.

Eppure, la storia raccontata da Queneau non potrebbe essere più semplice, in un modo molto complesso: in questa favola che, non a caso, non ha proprio nulla di fiabesco, l’autore racconta la parte più infantile, ribelle e a tratti scomoda del nostro essere. Scomoda, perché è proprio quella parte l’unica a saper riconoscere le cose per quelle che sono: un gioco, divenuto troppo serio.

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