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Perché vino, olio e pane erano vietati nell’antica Roma

La maggior parte delle religioni stabilisce un forte legame con il cibo, per disciplinare il piacere del mangiare e per marcare una differenza con i non credenti. Scopriamo le interdizioni alimentari più curiose e meno note ai tempi dell’antica Roma e nell’Europa medievale.
A cura di Laura Di Fiore
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La maggior parte delle religioni stabilisce, in modi diversi, un forte legame con il cibo. In parte per disciplinare il piacere e l’esperienza carnale del mangiare e in parte per marcare una differenza tra credenti e non credenti, molte religioni prevedono interdizioni alimentari, attraverso cui viene vietato il consumo di determinati tipi di cibo. Si tratta in realtà di un aspetto presente già nelle religioni classiche, come quella greco-romana.

Tanto per i greci quanto per i romani, ad esempio, il consumo di pane, vino e olio d’oliva costituiva un forte elemento identitario, che li distingueva in particolare dai barbari, consumatori soprattutto di carne e di burro. E proprio alcuni tra questi elementi erano oggetto di proibizioni religiose.

Nell'antica Roma il divieto di bere vino per le donne

Come Paolo Scarpi ha ricostruito, la moderazione nel consumo di vino era caldamente raccomandata, dal momento che esso adombrava sempre il rischio di una caduta nella bestialità. In particolare, però, esso era proibito alle donne. Così, nell’antica Roma, padri, fratelli o mariti baciavano le donne per controllare se avessero bevuto vino. In realtà però le donne romane bevevano vari tipi di vino, poiché a essere proibito era soltanto il temetum, poiché produceva uno significativo stato di ebbrezza.

Non sono chiare le cause di questo divieto. Vanno ricercate nelle credenze che volevano che l’ebbrezza avesse un effetto anticoncezionale o abortivo? Oppure si trattava soltanto di un mezzo di controllo sociale? In ogni caso il temetum era un vino sacro, legato alle origini della città e da consumarsi – per le donne – soltanto in occasione di cerimonie religiose.

Mentre i ricchi si proibivano il pane…

Anche il pane era un alimento proibito, a Roma, durante il culto della Magna Mater, praticato dai patrizi sul Palatino. Quest’interdizione conteneva però anche un aspetto di differenziazione sociale, dal momento che su un altro colle, l’Aventino, il culto della dea dei cereali, Cerere, era praticato dai plebei. Il divieto di consumare pane esprimeva quindi anche un’ostentazione di status sociale, tesa a definire i confini tra i diversi ceti romani.

Le proibizioni del Cristianesimo: non solo Quaresima

Il vino e il pane, comunque, insieme all’olio, erano destinati a occupare un ruolo ancor più centrale sul piano religioso quando, nel IV secolo, il Cristianesimo divenne culto ufficiale dell’impero romano e i tre elementi ne rappresentarono il simbolo. A differenza di altre religioni, il Cristianesimo non proibiva alimenti in assoluto, ma soltanto in determinati giorni della settimana o periodi dell’anno.

Nell’Europa medievale era proibito mangiare carne di quadrupedi, pollame, uova e latte durante la Quaresima, dal mercoledì al sabato nelle tre settimane dei solstizi e degli equinozi, mentre era ristretto alla carne il divieto di consumo il mercoledì e il venerdì di ogni settimana.

I banchetti medievali: tra guerra santa e "voto del fagiano"

Nell’Europa del Medioevo, comunque, i banchetti organizzati in occasione di feste o ricorrenze mantenevano un forte significato spirituale, anche al di fuori delle cerimonie di tipo religioso. Tra una portata e l’altra, venivano presentati ai commensali delle piccole pièces teatrali, che narravano le gesta dei cavalieri cristiani. Nel 1454, ad esempio, alla corte di Filippo il Buono, duca di Borgogna, un banchetto festivo rappresentò l’occasione per organizzare una crociata contro i turchi, i quali da poco avevano conquistato Costantinopoli. La rappresentazione vide in questo caso entrare in sala, in sella a un elefante, una dama vestita di bianco e coperta di un manto nero, che simboleggiava la Chiesa cristiana e che, recitando un’elegia, chiedeva l’aiuto del duca per strappare la città ai turchi “infedeli”.

Questi, allora, estrasse una lettera dall’abito e dichiarò pubblicamente il suo voto al cospetto di un fagiano, uccello nobile considerato nutrimento dei valorosi, introdotto in sala in un recipiente d’oro. Gli altri cavalieri seguirono il suo esempio, partecipando al “Voto del fagiano” e proclamando varie promesse: ci fu chi fece voto di non bere vino finché non avesse versato abbastanza sangue di infedeli; chi promise di non mangiare mai di martedì o di non dormire di sabato fino alla fine della crociata. Pare che questa cerimonia fosse tanto spettacolare da aver distratto i commensali dalle ricche portate del banchetto, sebbene ogni piatto fosse allestito con ben 48 tipi di cibo. Ma forse non ne valse davvero la pena, se si pensa che la crociata non partì mai e, di conseguenza, nessuno dei voti venne osservato.

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Nata nel 1979, vivo a Napoli e ho due gemelli. Sono ricercatrice in storia, (al momento) a Bologna, e ho pubblicato due monografie: Alla frontiera. Confini e documenti di identità nel Mezzogiorno continentale preunitario (Rubbettino 2013) e L’Islam e l’impero. Il Medio Oriente di Toynbee all’indomani della Grande guerra (Viella 2015).
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