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Vespasiano e le tasse sull’urina: le strane leggi degli antichi romani

Da quella sull’urina a quella, odiata dalle donne, contro il lusso: gli antichi romani sono famosi per aver regalato alla storia alcune fra le leggi più bizzarre e curiose di tutti i tempi. Ma grazie ai documenti giunti fino a noi anche queste stranezze contribuiscono a farci conoscere meglio gli usi, i costumi e la cultura degli antichi.
A cura di Federica D'Alfonso
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Vespasiano, in un ritratto onorario conservato presso il Museo delle Terme, a Roma.
Vespasiano, in un ritratto onorario conservato presso il Museo delle Terme, a Roma.

In fatto di legislazione, gli antichi romani avevano molta fantasia. E non lasciavano nulla al caso: ogni aspetto della vita pubblica, dal matrimonio alle infedeltà, passando per le abitudini cosmetiche delle donne, tutto aveva una legge promulgata ad hoc. Gran parte di queste sono oggi scomparse, ma storici e poeti latini ci hanno lasciato testimonianze dettagliate circa questo aspetto dell’antichità: comprese le leggi più bizzarre che i romani hanno saputo inventare.

Pecunia non olet: la tassa sull'urina

Quella che sicuramente resta la più curiosa e bizzarra di tutti i tempi fu la Vectigal urinae: una vera e propria tassa obbligatoria sull'urina, emanata dall'imperatore Vespasiano all'alba del suo impero. Se oggi questa particolare forma di tassazione ci fa sorridere, in realtà all'epoca risultò necessaria per regolamentare il lavoro degli artigiani e dei contadini e soprattutto per risanare le casse dello stato prosciugate dalle politiche spenderecce di Nerone.

Svetonio, nel De vita Caesarum, ci spiega come all’epoca le casse dello stato registrassero ammanchi per circa 40 milioni di sesterzi. Vespasiano, uomo cauto e previdente, decise così di tassare l’utilizzo di un materiale che di certo non doveva mancare nella capitale: la pipì. Questa rappresentava infatti la materia prima che i conciatori utilizzavano per ripulire e sbiancare le pelli e i tessuti, grazie alle proprietà disinfettanti dell’ammoniaca contenuta al suo interno.

Tutti, dai conciatori agli agricoltori, e perfino i medici, erano tenuti a pagare il prezzo di questo “oro giallo”: oltre ad essere utilizzata nel settore tessile infatti, l’urina era ritenuta preziosa anche per la cura di alcune malattie e, in quanto ricca di fosforo e azoto, applicata anche nella coltivazione dei campi. Catullo in alcuni dei suoi carmina indugia anche sull’abitudine, abbastanza disgustosa, di utilizzarla anche come sbiancante naturale per i denti.

Vespasiano intuì immediatamente il potenziale economico di un tale prodotto, tanto da arrivare a ordinare di raccogliere le urine dei cittadini nelle latrine pubbliche e poi venderle al miglior offerente: un’abitudine che a noi oggi potrebbe risultare abbastanza repellente, ma che l’imperatore non disdegnò di definire fondamentale, con la frase: “pecunia non olet”.

Dall'adulterio al lusso: le altre leggi passate alla storia

Vespasiano è passato alla storia sia per questa che per altre leggi fuori dagli schemi, come l’altrettanto famosa tassa sugli ebrei, che ogni anno doveva essere corrisposta da ciascun abitante dell’Impero di origini giudaiche al tempio di Giove Capitolino. Ma molte altre, anche in epoche precedenti, furono le leggi che oggi risuonano poco ortodosse ma che, a ben pensarci, risultano documenti indispensabili per comprendere gli usi e i costumi degli antichi.

Quando si verificava un caso di adulterio venivano puniti entrambi i traditori: a processo andavano sia la moglie adultera che l’amante, e ad entrambi veniva imposta la confisca dei beni e la relegazione su un’isola, “purché non fosse la stessa isola”. Se l’adulterio veniva scoperto dal padre della donna, egli aveva il diritto di uccidere entrambi i traditori senza incappare in condanne di sorta, mentre al marito spettava il compito di uccidere l’amante ma solo in determinate circostanze.

Un altro provvedimento molto famoso e che all’epoca riscosse non poche proteste da parte delle donne fu la legge contro il lusso, emanata durante la seconda guerra punica. Essa era rivolta specificamente alle donne, per mettere un freno alla dilagante tendenza a vestirsi con stoffe e gioielli raffinati alla “greca”. Abiti vivaci, uso smodato delle carrozze, oro e gioielli erano proibiti: gli storiografi raccontano come questa legge non piacque affatto alle dirette interessate, tanto che moltissime donne scesero per strada chiedendo agli uomini di discutere pubblicamente l’editto, che venne abolito pochi anni dopo.

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