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Venezia, Michelangelo Antonioni è cult con il documentario “Japan 1984”

Alla Mostra del Cinema di Venezia presente il documentario etnografico di Michelangelo Antonioni “Japan 1984”, un’indagine fra cultura cinematografica e innovazione tecnologica.
A cura di Silvia Buffo
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Michelangelo Antonioni
"Japan 1984 – 7 Betacam Tapes". Michelangelo Antonioni, Tokyo 1984. Courtesy Enrica Fico Antonioni

Alla 73esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia,  fino all'11 settembre, è presente anche  “Japan 1984 – 7 Betacam Tapes" negli spazi di Ca’ Corner della Regina, sede della Fondazione Prada. Ideato da Luigi Alberto Cippini e Giovanni Fantoni Modena e curato da Stefano Francia di Celle e Marzia Marzorati, in stretta collaborazione con Enrica Fico Antonioni, riunisce materiali video inediti realizzati da Michelangelo ed Enrica Antonioni. Si tratta di una serie di documentari, girati dalla coppia di registi in diverse località giapponesi negli anni Ottanta, che raccontano le trasformazioni delle realtà sociali in corso sul territorio nipponico attraverso l’uso sperimentale di nuove tecnologie filmiche.

Un'indagine sui rapporti fra cinema e tecnologia

L'origine del progetto risale a un’intervista televisiva rilasciata da Michelangelo Antonioni a Gian Luigi Rondi nel 1985, nel corso della quale il regista fa riferimento a una visita a scopo di ricerca nella fabbrica di telecamere Sony. Antonioni ritorna in una fabbrica dopo "Deserto Rosso" del 1964 e si ritrova in un ambiente industriale completamente rinnovato e irriconoscibile. Il rapporto duale tra la produzione di tecnologie visuali e gli spazi industriali che ne celano le linee di fabbricazione, rappresenta il fulcro di una ricerca volta ad approfondire il confronto tra il regista e lo sviluppo tecnologico.

Sette cassette betacam per raccontare il Giappone

Durante il loro pernottamento al Grand Prince Hotel Akasaka, disegnato da Kenzo Tange, Michelangelo ed Enrica Antonioni ricevono, un nuovo modello di telecamera: la betacam. L’inedito formato elettronico registra la sintesi tra le percezioni dei registi e la realtà sociale e urbana del Giappone. La capitale Tokyo, non certo vergine a uno sguardo cinematografico testimoniato da film come "Tokyo Ga"  del 1985 di Wim Wenders e "Sans Soleil" del 1983 di Chris Marker, viene ripresa e mostrata attraverso una nuova fonte di interesse. È il materiale stesso, girato in maniera spontanea e informale, a diventare l’oggetto di un documentario dal titolo "Un viaggio in Giappone".

Oltre la tradizionale fruizione cinematografica, un Antonioni sperimentale

La trasmissione delle sette cassette betacam è intesa come mezzo di incontro e confronto con la contemporaneità. Un’opera legata ai momenti privati e alle ricerche sperimentali di Michelangelo ed Enrica Antonioni non può essere analizzata in modo didascalico. “Japan 1984 – 7 Betacam Tapes” dimostra come si possa prendere parte a un dialogo con un regista al di là delle tradizionali forme di fruizione cinematografica. I sette filmati saranno accompagnati dal montaggio finale di "Un viaggio in Giappone" e la sua versione ridotta "Un po’ di Giappone" nel 1990.

Un viaggio d'esplorazione, un documentario etnografico

Durante il loro viaggio l’attenzione dei registi è principalmente focalizzata sul confronto tra i momenti identitari e liberi della nuova generazione in contrasto con lo stretto e rigido controllo delle realtà ufficiali. Le sottoculture, le influenze giovanili legate al rockabilly e al punk, la forte assuefazione causata da strategie di marketing sempre più martellanti e i punti di ritrovo caratterizzati da giochi come il pachinko sono ripresi e analizzati dalla coppia di registi.

Il contesto asettico di una Sony anni '80

Il viaggio si trasforma in un momento di vivace ricerca etnografica, relegando l’ansia sperimentale e tecnologica dei registi nelle brevi e inedite inquadrature all’interno della fabbrica Sony. Durante la visita alla multinazionale l’ambiente di produzione viene ripreso asetticamente. Uno spazio illuminato da una serie di neon è popolato da operai specializzati in capi di lavoro neutri e neutrali che adempiono alle loro mansioni con precisione chirurgica, circondati da schermi e apparecchiature elettroniche, istantaneamente trasformati in modelli e strumenti di influenza estetica.

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