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Una gelataia si rifiuta di servire Salvini e perde il lavoro

Una ragazza che lavorava in prova in una gelateria di Milano ha perso il posto per essersi rifiutata di servire Matteo Salvini. La mamma della giovane sostiene che la colpa sia del leader del Carroccio, che si sarebbe lamentato con i proprietari del negozio. Ma la gelateria nega che ci sia stato l’intervento di Salvini.
A cura di Annalisa Cangemi
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Una ragazza che lavorava in una gelateria ha perso il lavoro per essersi rifiutata di servire Matteo Salvini. È successo in una gelateria di Milano, dove il leader del Carroccio si era recato ieri pomeriggio per consumare un gelato. I responsabili dell'esercizio commerciale hanno denunciato pubblicamente l'accaduto, dicendo che la dipendente si sarebbe rifiutata di svolgere il proprio lavoro per "ideologie politiche", e per questo sarebbe stata ripresa dai suoi superiori.

Questo il contenuto di un post su Facebook scritto dai proprietari del negozio: "La ragazza (in prova) si è rifiutata di servire un cliente (Salvini in questo caso) per ideologie politiche. Dunque è stata ripresa dalla direzione. Il suo comportamento ci è stato riferito dai colleghi in turno con lei". A quel punto sarebbe nato un alterco e la ragazza per protesta si sarebbe allontanata: "Durante la discussione si è tolta la divisa e se n'è andata abbandonando il posto di lavoro a metà turno esclamando cose che poco hanno a che vedere con il lavoro". Ma la gelateria nega che ci sia stata una telefonata di Salvini, come invece ha detto la madre della ragazza, che, sempre su Facebook, ha accusato il segretario della Lega di essersi lamentato con i gestori per il trattamento ricevuto. E per questo la figlia avrebbe perso il posto.

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Ecco la versione della mamma: "Signor Matteo Salvini, sono la mamma della ragazza che serviva al banco della gelateria (e scrive il nome del negozio in questione e l'indirizzo ndr) in cui lei si è recato nel pomeriggio del 20 marzo. Desidero informarla che a seguito della telefonata che lei ha fatto alla titolare del negozio in quanto non soddisfatto del servizio da parte di mia figlia , mia figlia ha perso il lavoro". E alcuni utenti le hanno subito inviato messaggi di solidarietà. Ma il post della signora è stato rimosso dal suo profilo nella tarda mattinata, forse perché la donna si è resa conto di aver alzato un polverone che non si aspettava. "Nessuna chiamata di Salvini, ma non scherziamo!" assicurano dalla gelateria.

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In un post successivo i gestori hanno ribadito la loro versione, ribadendo che "non c'è stato nessun licenziamento. Da noi può essere servito chiunque con qualunque ideologia politica o culturale e quando la cosa cosa è stata fatta notare alla signorina, lei se n'è andata lasciando i suoi colleghi e il posto di lavoro".

La smentita di Salvini

Tra i commenti al post della gelateria arriva anche la replica di Salvini: "Cosa non si inventano alcune persone pur di fare polemica…Vado in questa gelateria da anni perché il gelato è ottimo, e continuerò ad andarci. Per chi votano proprietari o lavoratori non mi interessa, a me interessa che il gelato sia buono. Figurarsi poi se telefono a qualcuno per lamentarmi, mai fatto! Buon lavoro, buon gelato e complimenti a chi ha aperto questa attività, portando vita in una zona non propriamente centrale di Milano".

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Quando ad Almirante non servirono il caffè

Non è la prima volta che ad un politico viene riservato un trattamento simile, ma dobbiamo tornare indietro nel tempo. L'episodio che vede protagonista il leader del Movimento Sociale Giorgio Almirante è accaduto 40 anni fa, e precisamente all'inizio dell'estate del 1973, in un Autogrill alle porte di Bologna, al Cantagallo. Almirante, ignaro di quello che sarebbe di lì a poco successo, era di ritorno da Trieste e diretto al Quirinale, in compagnia della moglie Assunta, del figlio e di Michele Marchio. Il quartetto aveva appena finito di consumare il primo, quando il direttore di sala comunicò ad Almirante che tutto il personale era in sciopero, e si rifiutava di servirgli frutta e caffè. Molti dei dipendenti provenivano da Sasso Marconi, comune in cui si ricorda l'eccidio di Marzabotto, quando le SS nel 1944 trucidarono centinaia di civili. Su quello che accadde dopo ci sono diverse versioni. Una variante della storia vede il politico andare su tutte le furie, frenato a stento dalla moglie Assunta. Secondo un'altra ricostruzione il missino lasciò il locale senza battere ciglio.

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