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Uccisa dall’ex, la madre di Jennifer: “In tribunale le vite delle vittime valgono meno di quelle degli assassini”

“Tra rito e abbreviato e sconti di pena oggi chi toglie la vita a una ragazza può rifarsi la sua dopo pochi anni. Le nostre ragazze invece resteranno sottoterra”. Così a Fanpage, Fabiola Bacci, la madre di Jennifer Sterlecchini, la ragazza di 26 anni sgozzata dall’ex 3 anni fa a Pescara. Il 14 marzo è attesa la sentenza d’appello per Davide Troilo. “Il timore è che possa essere un altro caso Olga Matei” dice mamma Fabiola.
A cura di Angela Marino
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"La nostra vita è finita, ma per i giudici le vittime valgono meno delle vite degli assassini". Così, a ventiquattrore dalla sentenza che deciderà le sorti di Davide Troilo, Fabiola Bacci, la madre di Jennifer Sterlecchini, la ragazza che Troilo ha sgozzato tre anni fa perché lo aveva lasciato. È prevista per il 14 marzo al tribunale di Pescara la sentenza d'appello contro l'ex ascensorista che il 2 dicembre 2016 ha ucciso Jennifer con 17 coltellate perché lo aveva lasciato. "In primo grado Troilo è stato condannato a 30 anni – spiega a Fanpage, mamma Fabiola – ma dopo le sentenze dei delitti Vannini o Matei, non mi stupirei che gli dimezzassero la pena grazie alla scelta del rito abbreviato. Ormai sembra che le vittime non contino più nulla" commenta con amarezza.

L'omicidio: "Mamma aiuto, mi ammazza"

I fatti risalgono a tre anni fa quando la 26enne Jennifer decide di interrompere la relazione e la convivenza con Davide Troilo, di alcuni anni più grande e già padre di un bambino. "Jennifer aveva il sogno di andare a lavorare in Spagna, ma era un progetto incompatibile con la vita di Troilo, che tra il lavoro e la famiglia era bloccato a Pescara – racconta Jonatan Sterlecchini, fratello di maggiore di Jennifer – così decise di andare per la sua strada". Il 2 dicembre 2016 la ragazza è invece mamma Fabiola ad accompagnarla insieme a un'amica a prendere le ultime cose rimaste a casa di Troilo. "Paura? No, non avevamo paura, Davide non era mai stato violento o aggressivo, non c'era alcun motivo di temerlo, tanto è vero che io sono rimasta fuori ad aspettare che  Jennifer prendesse i suoi oggetti personali. È stato allora che l'ho sentita gridare ‘mamma, aiuto, mi sta ammazzando!".

Sepolta con l'abito da sposa

"Io quel giorno mi trovavo dal ferrramenta a fare la copia delle chiavi del mio studio di registrazione – racconta Jonatan  – Faccio il dj e ho uno studio mio. Fui chiamato al telefono dalla sorella della mia ex, il caso vuole abitasse proprio davanti a quella che fu la casa di Jennifer e Troilo. Mi disse che vedeva mia madre bussare disperatamente alla porta e mi precipitai. Sul posto trovai i carabinieri e l'ambulanza. Volevo entrare e un militare mi costrinse a non farlo: ‘Fermati, è inutile', mi trattenne. Oggi lo ringrazio perché probabilmente non avrei mai potuto togliermi dalla mente quelle immagini".  La ragazza, colpita con 17 fendenti muore per una ferita mortale al collo, praticamente sgozzata, mentre il suo carnefice, che si è colpito a sua volta, ma in modo non grave, si salva. Viene seppellita con l'abito da sposa, perché il suo sogno più grande era quello di avere un bellissimo matrimonio.

Il processo

"Come sono andate le cose dopo? – ci racconta Fabiola – Troilo lo abbiamo rivisto in tribunale, non ha mai sostenuto il nostro sguardo né ci ha chiesto perdono, se non in una lettera inviata prima della sentenza per catturare la benevolenza dei giudici. Chi è pentito non chiede sconti, si consegna affronta le conseguenze di ciò che ha fatto. Oggi il suo legale chiede una perizia psichiatrica, temo voglia abbozzare una richiesta di attenuante seminfermità mentale. Il rischio è che si finisca come nel caso Olga Matei, con un dimezzamento della pena giustificato da problemi di natura psichiatrica, ma gli uomini come lui non sono pazzi, no. Per loro scatta un solo input: ‘o mia o di nessun altro'".

Una campagna per la giustizia

Dopo che la loro vita, già segnata dal suicidio del papà di Jennifer, è stata devastata anche dalla sua perdita. Fabiola e Jonatan hanno deciso di fare qualcosa. "Lo dico sempre a mia mamma –  racconta Jonatan – noi siamo partiti da  casetta nostra con un progetto umile, quello di raccogliere firme per impedire che venga concesso l'abbreviato in caso di omicidio e siamo arrivati in Parlamento e in Tv, oggi si discute della legge. Vogliamo far presente alle istituzioni che condannare a 15 o 16 anni chi uccide un qualcuno per questioni sentimentali, potrebbe far passare un messaggio pericoloso, ovvero che risolvere così un conflitto ti porta via solo pochi anni della tua vita. Non penso solo ai femminicidi, ma anche a casi come quello di Marco Vannini. L'assassino di mia sorella forse potrà rifarsi una vita, lei invece è sottoterra".

Il messaggio di Jonatan

"Anche se sono il fratello della vittima, da uomo, non sono mai riuscito a immedesimarmi in Troilo. Anche io sono stato ferito e lasciato, ma io non riesco neanche a pensarci, non riesco a vedermi nella situazione di chi è stato lasciato e vuole fare del male. Il male si combatte con l'amore, perché la violenza genera solo altra violenza".

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