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Uccide i genitori per coprire una finta laurea, la storia di Aral Gabriele

Il 22 marzo 2002 i corpi senza vita dei coniugi Gaspare ed Elena Gabriele vengono scoperti nella camera da letto del loro attico a villa Bonelli, a Roma. Ad avvelenarli con un sonnifero è stata una persona che amano: il figlio 27enne Aral, che poi ha inscenato una rapina sfociata nel sangue. Il movente è paradossale.
A cura di Angela Marino
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È un caldo pomeriggio della primavera romana, venerdì 22 marzo 2002, quando, in via Lupatelli, nell'elegante zona residenziale di Villa Bonelli, l'attenzione dei residenti viene destata da una ridda di sirene e clacson. Ambulanze e gazzelle si fermano proprio al civico 67, dove, all'ultimo piano, in casa dei coniugi Gaspare ed Elena Gabriele, è successo qualcosa di terribile. La porta di casa è spalancata. L'atmosfera è irreale, ovattata, in casa regna un ordine imperturbabile, le tapparella sono integre, non ci sono segni di scasso. In cucina c'è un biglietto: ‘sono a cena, torno tardi'.

Nella stanza da letto, però, qualcuno sta urlando. Aral, secondogenito della coppia è sdraiato pancia a terra e piange come un bambino, singhiozzando ‘Mamma, mamma!'. Sul pavimento accanto al letto, nella penombra del pomeriggio, ci sono due grossi involucri di plastica neri congiunti l'uno con l'altro per mezzo di un filo di nastro isolante scuro. Dalla forma dei sacchi si intuisce che si tratta di due corpi umani. All'interno, impacchettati come mummie e già rigidi, ci sono i cadaveri del dottor Gaspare e della signora Elena.

Le vittime

Il lindo e calmo appartamento di via Bonelli finisce sotto sequestro, mentre quella tragedia senza senso fa il giro dei salotti romani e del circolo del Tennis. Chi è stato? Si chiedono tutti quelli che da vicino conoscevano quella amabile coppia. Lui, Gaspare Gabriele, 66 anni, commercialista, era un uomo all'antica, premuroso e attento, ma poco incline a manifestazioni d'affetto, ritenute sintomo di debolezza. Lei, Maria Elena Figuccio, 64, nata a Casablanca nel quartiere europeo, era professoressa di storia e filosofia. Sensibile e gentile, cresciuta con un'educazione francese, aveva voluto imporre ai figli i due nomi ‘esotici' ‘Aral' e ‘Laila'. E proprio i figli erano il cuore di tutto il mondo dei Gabriele, in particolare Aral, 27 anni, laureando in legge, volontario per il servizio civile a un centro per disabili, gentile e sensibile: un ragazzo d'oro.

Il caso

Eppure quella coppia per bene della borghesia romana un nemico lo aveva. Qualcuno, infatti, la sera di due giorni prima, il 20 marzo, aveva avvelenato con una robusta dose di sonnifero il limoncello che avevano bevuto al termine del pasto. Marito e moglie si erano accasciati come marionette mentre tentavano di svestirsi per andare a letto, nella stanza matrimoniale. Per Gaspare, la morte era arrivata subito, complice quel cuore debole che faceva le bizze; per Elena la fine era stata crudele. L'assassino, infatti, si era accanito contro di lei soffocandola, per accelerare una morte che non arrivava. Di lui, tuttavia, nell'appartamento non era rimasta alcuna traccia. Né un'impronta né un capello indicavano la presenza di terzi in quella casa.

E Aral? Qualcosa doveva aver visto il figlio che viveva protetto e accudito dall'affetto dei genitori. E invece no, perché, grazie all'ingresso indipendente che collega la sua stanza al pianerottolo, per due giorni Aral era entrato e uscito senza vedere i suoi: da quando, insomma, aveva lasciato quel biglietto per annunciare il suo ritardo. Solo l'insistenza della sorella Laila, che dopo due giorni di chiamate senza risposta aveva pregato il fratello di entrare in casa a controllare, aveva permesso di scoprire la tragedia.

La testimonianza

C'era pur sempre la governante, forse lei era a conoscenza di dettagli utili a ricostruire le ultime ore dei coniugi Gabriele. Intervistata dal quotidiano ‘Il Messaggero' la signora dichiara che aveva preso due giorni di permesso e che, però, aveva telefonato più volte ai coniugi senza risposta. "Saranno andati a Camerino per la laurea di Aral, ho pensato", dice. Dunque la signora che da vent'anni lavora con i Gabriele non ha visto niente, eppure la sua testimonianza da alle indagini un'improvvisa svolta.

Da giorni, infatti, gli inquirenti hanno appuntato le loro attenzioni sulla famiglia delle vittime, installando cimici e ascoltando i telefoni e proprio attraverso le intercettazioni vengono a conoscenza di un elemento fondamentale. "Mamma e papà avevano detto a tutti che ti stai per laureare, e tu non sei neppure iscritto", così dice nel panico Laila a suo fratello Aral, nell'auto a noleggio in cui i carabinieri la stanno intercettando con il marito Giacomo. Aral ha appena confessato alla sorella e al cognato che non dà esami da anni e che da tempo mentiva ai suoi. Laila e suo marito sono allarmati che questa circostanza possa essere letta come un fattore scatenante per il duplice delitto.

Il tassello mancante

Un movente era l'unico tassello mancante dal mosaico che gli investigatori avevano costruito con gli indizi raccolti. La mancanza di tracce di terzi nella casa di via Bonelli li aveva indotti a credere che l'appartamento fosse stato ripulito scrupolosamente. Di tempo, Aral Gabriele, ne aveva avuto a sufficienza: 48ore per preparare la casa all'arrivo dei soccorsi e per costruire alibi e depistaggi. Ed ecco che anche il movente arriva. Con amore e attenzione, infatti, marito e moglie seguivano passo i progressi negli studi del loro ragazzo: esami, voti, tesi, tanto che papà Gaspare teneva addirittura un diario con gli aggiornamenti del percorso di studi. Confessare agli amati genitori di aver mentito, deludere le loro aspettative, frustrare la gioia e l'orgoglio che nutrivano per Aral, sarebbe stato per lui insopportabile. Meglio la morte.

Quel bravo ragazzo

Non ci sono prove, però, e Aral si trasferisce a Milano con Laila e Giacomo, che intanto gli ha procurato un lavoro. Un lavoro che non gli piace. Anche lì, la convivenza a tre viene monitorata lasciando emergere particolari inquietanti. Laila e suo marito hanno paura di Aral, a tavola non bevono nulla di cui non conoscano la provenienza, temono di essere avvelenati. Lui, per contro, ha comportamenti strani, non tollera la vista delle foto dei genitori, è irritabile. A completare il quadro, giunge una telefonata. È Massimo a rivelare i proprio sospetti sul cognato. "È una persona disturbata" dice al telefono a sua madre "prima o poi (gli inquirenti, ndr) lo chiameranno, per me è stato lui". Come presagito dai parenti,  117 giorni dopo il ritrovamento dei corpi Aral finisce in manette, l'accusa è delle peggiori: aver pianificato e messo in atto l'omicidio dei suoi genitori.

L'epilogo

La notizia che l'assassino di Villa Bonelli è quel bravo ragazzo di Aral, è un pugno in faccia per chi conosceva la famiglia Gabriele, ma ancor più lacerante è quel movente paradossale, la finta laurea, un movente che Aral respinge e respingerà sempre con forza, come la paternità di quel delitto. "Mamma e papà erano tutto per me", dice, con sincerità, prima di essere portato via dopo la sentenza. Ventotto anni di carcere per omicidio premeditato.

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Giornalista dal 2012, scrittrice. Per Fanpage.it mi occupo di cronaca nera nazionale. Ho lavorato al Corriere del Mezzogiorno e in alcuni quotidiani online occupandomi sempre di cronaca. Nel 2014, per Round Robin editore ho scritto il libro reportage sulle ecomafie, ‘C’era una volta il re Fiamma’.
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