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Turchia, bambini siriani confezionano le uniformi per lo Stato islamico

Ragazzini di appena nove anni sono sfruttati per meno di un euro all’ora per realizzare le divise militari dei jihadisti, secondo un articolo del Daily Mail. Non è un caso isolato, sono migliaia i bambini siriani costretti a lavorare per poter sopravvivere.
A cura di Mirko Bellis
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Una decina di bambini realizzano le uniformi per i combattenti dell'Isis. Copyright Jodi Hilton
Una decina di bambini realizzano le uniformi per i combattenti dell'Isis. Copyright Jodi Hilton

Chini su una macchina da cucire, con turni di lavoro di dodici ore in cambio di una misera paga, i bambini siriani scappati dalla guerra sono impiegati sempre più spesso nelle fabbriche di abbigliamento in Turchia. Sono circa 250.000 i siriani che lavorano illegalmente nel Paese vicino, secondo i dati del Centre for Middle Eastern Strategic Studies (Orsam). Tra di loro i più vulnerabili sono proprio le donne e i bambini. Sfruttati da imprenditori senza scrupoli, vengono impiegati per cucire abiti civili e persino le uniformi militari che saranno poi indossate dai combattenti siriani, tra i quali anche gli estremisti dello Stato islamico. Il tabloid inglese Daily Mail è entrato in una di queste fabbriche disseminate in tutta la Turchia. Ad Antiochia, città poco distante dal confine siriano, per una decina di bambini la giornata di lavoro inizia alle 7.30 e dura anche dodici ore. In mezzo solo un’ora per il pranzo. La paga? Meno di un euro all'ora.

L’aspetto inquietante di questo laboratorio tessile è che le piccole mani dei bambini servono a cucire uniformi militari che saranno poi inviate di contrabbando in Siria per essere usate dai gruppi ribelli e dagli stessi jihadisti dell’Isis. A gestire la produzione di mimetiche, un rifugiato siriano, Abu Zakour. I piccoli – alcuni di soli nove anni – invece di andare a scuola, vengono mandati dai genitori a lavorare per pochi spiccioli al giorno. “Questi bambini dovrebbero frequentare la scuola ma i loro genitori preferiscono mandarli a lavorare per guadagnare dei soldi –  ammette candidamente Zakour – e io che ci posso fare?”. L’imprenditore si definisce un semplice uomo d’affari e in nessun momento appare turbato dell’idea che le divise mimetiche verranno indossate dagli stessi fanatici che hanno causato la sua fuga. Zakour non si preoccupa neppure di sfruttare il lavoro minorile di questi poveri bambini costretti ad abbandonare il loro Paese.

Sfollato una prima volta da Aleppo, Abu Zakour, era arrivato proprio a Raqqa, l’autoproclamata capitale del Califfato. Dopo aver vissuto sulla propria pelle il dominio brutale degli uomini di Al Baghdadi – fu arrestato più volte colpevole di fumare delle sigarette – “l’imprenditore tessile” decise di scappare assieme alla famiglia in Turchia sei mesi fa. Nel suo negozio, situato in un mercato di Antiochia, fanno bella mostra in vetrina manichini con mimetiche e altri oggetti militari. Nel corso dell’intervista rilasciata al quotidiano inglese, Zakour, mostra gli ordinativi delle divise e – come racconta – non ci sono solo i jihadisti dello Stato islamico tra i suoi clienti. Anche le altre formazioni ribelli che combattono in Siria si riforniscono da lui e descrive le preferenze di ognuno: mentre l’Esercito libero siriano (Fsa) vuole uniformi marrone chiaro, gli estremisti del Fronte al-Nusra prediligono il verde militare. I combattenti dell’Isis – prosegue Zakour – preferiscono indossare uniformi simili a quelle degli afgani anche se da tempo utilizzano diversi modelli per distinguere le unità.  Dalle divise completamente nere, usate per le parate a quelle mimetiche marroni per compiere le loro barbare esecuzioni. Il tessuto arriva da Istanbul, dove le fabbriche turche replicano esattamente le uniformi americane e russe a seconda della domanda, anche se – come spiega Zakour – la preferita rimane la mimetica da deserto degli Stati Uniti.

“Facciamo più soldi con le uniformi militari che con gli abiti civili – ammette – però che ci possiamo fare?”. Dopo la chiusura dei valichi di frontiera da parte delle autorità turche, il contrabbando è diventato l’unico mezzo per il trasporto della merce di Zakour. Non ha nessuna remora questo siriano a vendere i propri prodotti agli emissari del Califfato. “I clienti non mi dicono se vengono da Raqqa o hanno intenzione di consegnare le uniformi ai jihadisti, non è un fatto che mi riguarda”, conclude la sua intervista con il Daily Mail.

E intanto i bambini continuano a confezionare le divise che indosseranno i carnefici dello Stato islamico. Secondo l’Unicef, quasi l'80 per cento dei bambini siriani che vivono in Turchia non vanno a scuola, e quasi la metà non ha nessun tipo di formazione. Molti piccoli profughi, inoltre, non frequentano nessun tipo di scuola a causa della barriera linguistica o per paura di atti di bullismo nei loro confronti. Infine, come per quasi tutti i profughi, il problema più grande è rappresentato dalla povertà. E’ grazie a questa situazione che imprenditori senza scrupoli come Abu Zakour possono prosperare.

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