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Tfr in busta paga, a un anno dall’approvazione è un flop

Secondo i dati della ricerca condotta dalla Fondazione dei Consulenti del Lavoro, meno dell’1% dei lavoratori aventi diritto avrebbe deciso di usufruire della possibilità di ricevere parte del trattamento di fine rapporto in busta paga. Il motivo? Una tassazione prevista eccessivamente penalizzante.
A cura di Charlotte Matteini
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Non sembra aver riscosso grande successo la possibilità di richiedere parte del trattamento di fine rapporto in busta paga, possibilità introdotta lo scorso anno dal governo Renzi allo scopo di "rilanciare i consumi" e la domanda interna. Secondo quanto riporta la Fondazione dei Consulenti del lavoro, meno dell'1% dei lavoratori aventi diritto, ovvero una platea totale composta da dodici milioni di persone in servizio da almeno sei mesi, avrebbe deciso di usufruire dell'opportunità. Lo studio condotto dalla Fondazione si basa su un campione di circa novecentomila lavoratori dal quale emerge che solo lo 0,74% degli intervistati ha deciso di ricevere il Tfr direttamente in busta paga. In numeri assoluti si parla di 6.712 persone.

Per quale motivo questa possibilità introdotta il 3 aprile dello scorso anno sembra non interessare ai lavoratori italiani? Sarebbe colpa dell'imposizione fiscale, troppo penalizzante rispetto a quella prevista per chi il trattamento di fine rapporto preferisce invece riscuoterlo in un unica soluzione a fine contratto. Non è stata infatti prevista alcun tipo di aliquota agevolata, l'Irpef verrebbe calcolata prendendo come riferimento lo scaglione di reddito del lavoratore, e dunque diverrebbe estremamente sfavorevole prelevare anzitempo parte del Tfr. Il 52% degli intervistati dalla Fondazione, infatti, ha ammesso di aver rinunciato a usufruire della possibilità perché sarebbe andato incontro a un vero e proprio "salasso fiscale". Per il 18%, invece, sarebbe invece dannoso non disporre dell'intera cifra da versare in un fondo pensionistico integrativo, mentre il 22% non avrebbe alcuna intenzione di rinunciare al "gruzzoletto" di fine carriera. Solo il 7% del campione intervistato appare incerto, e ammette di non aver preso una decisione perché non ha ancora adeguatamente approfondito il tema.

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