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Opinioni

Tempo di saldi, tra crisi e innovazione

Corsa ai saldi? A ben guardare qualcosa non torna, non solo a causa della crisi ma anche dell’incapacità di padroneggiare le innovazioni di processo che stanno favorendo l’affermarsi dell’e-commerce…
A cura di Luca Spoldi
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FOTO DI REPERTORIO©LAPRESSE05-01-12 ItaliaAL via i saldi invernali

La pausa natalizia è ormai alle spalle ed è già tempo di saldi in tutta Italia. Per la verità i saldi erano tra noi già da prima di Natale, segno dell’affanno in cui vive il settore del commercio tradizionale, piccola o grande distribuzione che sia, complice la prolungata crisi che stiamo vivendo anche a causa della decisione di ridurre o ristrutturare contemporaneamente l’eccesso di indebitamento privato e pubblico che ha provocato una contrazione del credito, un inasprimento fiscale e pertanto un calo del reddito disponibile per le famiglie che a fronte di uno scenario sempre incerto stanno tagliando dove possono i consumi prima e più che non il risparmio (destinato comunque a calare negli anni a venire a fronte di un progressivo impoverimento del paese, se non si ritroverà il modo di far ripartire la crescita, ormai da 16 anni inferiore al tasso d’interesse nominale sul debito pubblico).

Qualcosa comunque non torna in questi saldi 2012/2013: alcuni negozi tra quelli che hanno iniziato a proporre sconti (dal 30% al 70% a seconda degli articoli) già prima della fine dell’anno, come ho potuto scoprire per esperienza diretta, hanno infatti già proceduto a riordinare gli articoli esauriti. Alt: che significa riordinare gli articoli esauriti sotto i saldi? Significa che un margine di profitto esiste anche per il distributore (oltre che per il produttore, trattandosi di articoli della produzione attuale, non di fondi di magazzino) che al prezzo “scontato” registra una domanda in decisa crescita. Siamo insomma di fronte ad un classico caso di domanda “elastica” in cui a fronte di una riduzione del prezzo unitario il volume venduto aumenta più che proporzionalmente, consentendo di incrementare i guadagni. Altrimenti non ci sarebbe motivo di riordinare la merce esaurita, si metterebbe semplicemente in vendita la nuova produzione una volta esaurite le scorte in saldo.

Viene così il sospetto che questa crisi sia dovuta, oltre a tutte le motivazioni più volte dette, ad una serie di errori strategici compiuti da produttori e distributori che negli anni passati hanno alzato i margini (ossia i prezzi) il più possibile ed oggi piangono per una domanda ormai asfittica che loro stessi hanno contribuito a creare. Non è ovviamente solo un problema di prezzi ma anche di innovazione che sia pure lentamente sta rivoluzionando il settore del commercio anche in Italia oltre che in tutto il mondo. Secondo un report odierno di Morgan Stanley la “disrpution” (distruzione e rimodulazione) del settore è legata all’avvento sempre più deciso dell’e-commerce, di cui in verità sentiamo parlare da almeno un decennio ma che ormai sta realmente guadagnando piede in tutti i settori. Entro il 2016 il 9,3% (contro il 6,5% attuale) delle vendite al dettaglio mondiali avverrà attraverso circuiti elettronici, con un fatturato complessivo superiore ai mille miliardi di dollari l’anno. Come sempre a vincere saranno coloro che riusciranno a sfruttare al massimo le economie di scala e la forza del proprio marchio commerciale.

Gruppi come Amazon, eBay, MercadoLibre e Rakuten sembrano i meglio posizionati per sfruttare il nuovo “eldorado”, mentre anche grandi catene tradizionali come Nordstrom, Sun Art, Williams-Sonoma, forse Walmart, o anche ASOS e Blue Nile paiono a loro volta in grado di adattarsi al nuovo scenario competitivo meglio di altri. Alcuni settori resteranno ancora per molto indifferenti all’e-commerce, ad esempio, suggeriscono gli esperti americani, l’abbigliamento e le calzature di lusso, o le centrali acquisto in particolare nel settore alimentare. Guarda caso nicchie di mercato dove le aziende italiane sono ancora in grado di ottenere buoni risultati sia sul mercato domestico sia soprattutto su quelli esteri, come il caso di Tod’s, Prada o Ferragamo (piuttosto che Yoox in ambito e-commerce) ha finora testimoniato. Forse per questo, oltre che per una serie di ritardi infrastrutturali e culturali, il commercio elettronico tricolore pesa ancora relativamente poco: nel 2011 la spesa procapite online è stata in Italia di soli 70 dollari e nel conto rientrano anche articoli come biglietti di trasporto o per eventi sportivi e musicali che non rappresentano più una “novità” per nessuno.

Meno di noi in Europa si spende online solo in Spagna (45 dollari procapite nel 2011), mentre in Belgio si sono spesi mediamente 239 dollari a testa, in Germania 295 dollari, in Svezia 381 dollari, in Francia 398 dollari e in Danimarca 529 dollari. I più abituati agli acquisti online nel vecchio continente sono gli inglesi: i sudditi di sua maestà britannica hanno speso nel 2011 mediamente 723 dollari in acquisti tramite web, pari a circa il 9% di tutte le vendite al dettaglio effettuate in Gran Bretagna in quell’anno. Saranno contenti i nostri negozianti tradizionali, che ancora si affidano ai saldi e alle offerte promozionali per vendere a prezzo “ribassato” gli stessi articoli che a prezzo “intero” restano sugli scaffali invenduti per settimane o mesi e che spesso combattono battaglie di retroguardia a difesa di un modo di concepire il commercio tipico del secolo scorso, ostile ad ogni innovazione in tema di orari di apertura dell’esercizio, possibilità di vendere differenti categorie merceologiche nello stesso locale, diffidenti nei confronti di ogni forma di associazione tra imprese, pronti a battersi contro la “cattiva” grande distribuzione.

Certo, un tempo tutto era più semplice, i rapporti umani valevano di più, la spesa era un’attività piacevole per acquirenti e venditori. Non è detto che per alcune nicchie di mercato i “bei tempi di una volta” non possano tornare, se muteranno le condizioni di contesto. Ma stare sempre e solo a rimpiangere il passato e a inveire contro il futuro non è molto utile ad un imprenditore (né ad un banchiere né ad un politico). A meno che il suo target di riferimento non siano potenziali acquirenti sempre più anziani e sempre più attaccati alle vecchie care abitudini. Anche in questo caso l’Italia sembra confermarsi un paese che sa offrire pochi spazi ai sui giovani, purtroppo.

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Luca Spoldi nasce ad Alessandria nel 1967. Dopo la laurea in Bocconi è stato analista finanziario (è socio Aiaf dal 1998) e gestore di fondi comuni e gestioni patrimoniali a Milano e Napoli. Nel 2002 ha vinto il Premio Marrama per i risultati ottenuti dalla sua società, 6 In Rete Consulting. Autore di articoli e pubblicazioni economiche, è stato docente di Economia e Organizzazione al Politecnico di Napoli dal 2002 al 2009. Appassionato del web2.0 ha fondato e dirige il sito www.mondivirtuali.it.
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