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Sul sito del ministero ora puoi ascoltare le playlist “Giovinezza” e “Faccetta nera”

Il MIBACT lancia una iniziativa in occasione di Sanremo: il portale “Canzone Italiana”. Ma fa discutere la playlist della sezione “politica e propaganda”, soprattutto per il modo in cui sono presentate le canzoni del ventennio e del periodo coloniale.
A cura di Redazione
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Il progetto si chiama “Canzone Italiana”, “una piattaforma per l’ascolto on line dell’inestimabile patrimonio sonoro di oltre un secolo di canzone italiana, dal 1900 al 2000”, ed è una creatura del MIBACT. Il lancio, con profili social su Twitter, Facebook e Instagram, avviene quando mancano pochi giorni al Festival di Sanremo, con il portale che intende connotarsi come “una vera e propria enciclopedia sonora, una bandiera musicale, un ulteriore preziosissimo elemento del Made in Italy”. Tutto normale, all'apparenza.

Tra le raccolte tematiche, però, ce n’è una destinata a scatenare particolari polemiche, anche considerando i recentissimi episodi di cronaca, con l’attentato neofascista di Macerata ai danni di 6 migranti. Entrando nella sezione “Politica e Propaganda”, infatti, ci si imbatte in due playlist, Giovinezza e Faccetta Nera, in cui è raccolto il meglio della produzione musicale del periodo fascista e coloniale.

Aprendo la prima è possibile ascoltare “canti e inni che la propaganda fascista diffuse negli anni in cui il consenso lo si manipolava anche nel tempo libero e nei cerimoniali organizzati nelle numerose occasioni pubbliche”, tra cui Balilla Eroico, Saluto al Duce, La canzone dell’Impero e altre. Ma soprattutto, precisano dal ministero, Giovinezza, “il cui testo rispecchiava fedelmente la figura del leader e la centralità della ‘gioventù’ come orizzonte ideale”.

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Se invece volete addentrarvi nei meandri della Playlist Faccetta Nera, troverete perle come Africanella, Macallè, Bella abissina, ma soprattuto “Faccetta Nera”, che, commentano quelli del MIBACT (cui non avrebbe fatto male approfondire un minimo, eh), “è una marcetta militaresca che ha per protagonista la piccola abissina strappata dalle mani di un tiranno grazie all’intervento di un altro Duce, un altro Re”.

Insomma, siamo sempre lì: il punto non è la memoria storica e la necessità di studiare, approfondire e capire le dinamiche del passato. Né quello di oscurare una fase storica del nostro Paese, o di sminuire la portata e il senso delle interpretazioni e letture storiografiche. Il problema è la sciatteria con cui si affronta la questione, la leggerezza con cui si sdoganano concetti e pratiche che dovrebbero appartenere al passato e lì restare confinate.

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