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Sui congiuntivi ha ragione Di Battista

“Ho sbagliato un congiuntivo, così questo video lo mandano anche su Repubblica.” Così Di Battista ha chiuso la scaletta di un video che ha postato pochi giorni fa su Facebook, un video atteso e discusso, sulla questione dell’Aquarius e più in generale dell’immigrazione. Questa chiusura è eloquente, e le persone intelligenti dovrebbero intenderla, e smettere perciò di parlare di errori sui congiuntivi.
A cura di Giorgio Moretti
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Com'è, come non è, appena un politico (fuoco speciale sugli esponenti di spicco del Movimento 5 Stelle) sbaglia un congiuntivo, c'è sempre una panoplia di articoli sui giornali e post social che commentano il fatto con scandalo e indignazione. "Guarda che ignoranti", "Chi non conosce la grammatica della lingua non conosce la grammatica della democrazia", "Come possono guidare un paese se non sanno coniugare i verbi?" e simili dichiarazioni, sempre le stesse. Il che in linea di principio è più che condivisibile, si parla di coniugare congiuntivi, non di risolvere equazioni differenziali. Ma.

Il post-post scriptum con cui Di Battista chiude la descrizione del video, anche se breve, è forte e dovrebbe mettere a tacere dichiarazioni del genere. Non perché questo sarcasmo spicciolo sia un'umiliazione che riduce al silenzio, figuriamoci, ma perché mostra delle carte tali e talmente eloquenti che dovrebbe portare gli intelligenti a un cambio di strategia.

Una buona parte della popolazione italiana disprezza l'accanimento sulla correzione dei congiuntivi. E anche questo in linea di principio è più che condivisibile, lo disprezzo anche io: l'errore si corregge e si va avanti, specie quando c'è un contenuto complesso su cui scannarsi. Non è che se c'è un verbo mal coniugato allora la dichiarazione può essere dichiarata irricevibile e non trattata nel merito. L'errore grammaticale può essere esso stesso motore di consenso, può essere parte del contenuto. Il Boston Globe ha pubblicato lunedì delle illazioni piuttosto circostanziate (e molto interessanti) sul fatto che lo staff di Trump pubblicherebbe Tweet appositamente sgrammaticati, perché proprio il modo povero, stentato, inconseguente di parlare del Presidente degli Stati Uniti sarebbe veicolo di consenso.

A una insufficiente padronanza della lingua dei propri avversari politici non si può rispondere col pettegolezzo, con la penna rossa. Di Battista ha detto chiaramente che la questione del congiuntivo, per lui e per le tante persone che la pensano come lui, è una questione bizantina, priva di valore, una formalità a cui prestano attenzione morbosa le forze del vecchio sistema. Qualcosa da irridere con sarcasmo. E più ci si sforza di correggere e di affermare l'importanza di ciò che è violato, più si gonfia questo riso. E ha ragione, per un motivo molto semplice.

Io credo (but I'm not the only one) che il buon parlare dia potere. Anzi che sia il primo potere, forse l'unico che abbiamo sul mondo dentro e fuori di noi. Ma questo va dimostrato. Se io non mi so far valere davanti a chi agita coniugazioni a caso, il problema è mio. Dove è tutto questo gran millantato potere? Davanti  a una gente/ Zotica, vil; cui nomi strani, e spesso/ Argomento di riso e di trastullo,/ Son dottrina e saper, non si deve affermare l'importanza del congiuntivo. Si deve mostrarne il potere. Di Battista ha ragione perché o si mostra in pista che cosa sa fare questo congiuntivo, o si mostra in campo che cosa sa fare questo parlare e pensare bene, parlare e pensare padrone, oppure il congiuntivo e tutta questa raffinatezza è solo fuffa e finirà come il ballo del principe Prospero de La maschera della morte rossa.

In soldoni: il prossimo che, con articoli o post sui social, corregge un congiuntivo a un politico è parte del problema. Se il cavallo del buon parlare è così importante e potente, se lo è davvero, facciamo vedere che cosa sa fare.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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