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Le regole di una buona comunicazione

Nell’era della comunicazione, sembra che tutti parlino e nessuno si capisca. Esistono però delle buone pratiche che tutti possono mettere in atto e che non c’etrano nulla con l’avere ragione a tutti i costi o il voler vendere qualcosa.
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A cura di Redazione
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Parlare in pubblico è sempre difficile, ma anche rivolgersi ad un solo interlocutore impone alcune accortezze. Foto da Flickr.
Parlare in pubblico è sempre difficile, ma anche rivolgersi ad un solo interlocutore impone alcune accortezze. Foto da Flickr.

Comunicare in maniera efficace è una capacità utile a tutti. Non è necessario dover vendere aspirapolvere costosi, convincere qualcuno alla sottoscrizione di contratti assicurativi, o dover muovere folle oceaniche alle urne. Ovunque ci sia un’altra persona oltre a noi, è desiderabile che ci si capisca al meglio. Il nostro interlocutore può essere un collega o un familiare, il capo o il partner: in ogni caso è utile far giungere il messaggio, capire quello di chi ci parla e arrivare, quando possibile, ad un punto di accordo. Per essere efficaci nella comunicazione occorre tenere presente alcuni principi fondamentali che andiamo ad elencare di seguito. Si tratta di una sintesi estrema che può incoraggiare il lettore ad approfondire l’argomento leggendo libri sul tema o partecipando al corso gratuito online “Negoziazione e comunicazione efficace” di Federica.eu, la piattaforma dell’Università di Napoli “Federico II” che offre agli internauti uno strumento di apprendimento semplice ed estremamente comodo.

1. Si comunica sempre

La lingua – in quanto sistema complesso di codici – caratterizza l’essere umano rispetto agli altri animali e sarà forse per tale motivo che tendiamo a ridurre la comunicazione a questo: una serie di parole descrittiva di fatti e stati emotivi. In realtà comunichiamo sempre, anche quando siamo fermi e muti. Le comunicazioni non verbali e paraverbali fanno parte di un sistema primitivo che dice molto di noi e del nostro interlocutore. Si pensi ad un volto con gli angoli della bocca tirati, con le sopracciglia inarcate e la fronte corrugata, oppure ad un qualsiasi messaggio verbale detto con voce alta, intensa e con un ritmo contratto. Si tratta di due espressioni che comunicano rabbia, al di là del messaggio verbale che le accompagna.

2. Attenzione ai messaggi inibitori

Poiché non comunichiamo solo con la voce, occorre tenere sotto controllo anche gli elementi della comunicazione non verbale. Il nostro interlocutore, ad esempio, può cogliere segnali inibitori dal nostro sguardo. Se lo allontaniamo troppo da lui gli comunichiamo disinteresse, se invece puntiamo i nostri occhi nei suoi in maniera insistente – senza avere la confidenza degli amanti – rischiamo di distrarlo. Si tratta probabilmente di una reazione primitiva che intimorisce o imbarazza perché segnala l’intenzione del nostro interlocutore di analizzarci al di là di ciò che stiamo dicendo. Di “smascherarci”.

3. Saper ascoltare

La comunicazione non è una gara a chi parla di più. Che stiate vendendo un prodotto, cercando di convincere qualcuno ad una particolare azione o chiacchierando del più e del meno, non potete pensare che una comunicazione efficace possa fare a meno dell’ascolto. L’ansia di dire non vi deve far dimenticare che il vostro interlocutore può avere ragione o esprimere dei dubbi su cui siete in grado di poter dare rassicurazioni ragionevoli.

4. Empatia

Siate il vostro interlocutore per capire cosa prova e quali sono i suoi bisogni. L’empatia, ossia la capacità di capire lo stato d’animo dell’altro, dà la possibilità di modulare la comunicazione in base alle istanze dell’interlocutore. Un abile oratore, ad esempio, sa bene se si trova di fronte ad un platea di operai, impiegati o imprenditori e capisce dalle reazioni del volto se ciò che ha appena detto solleva o meno un dubbio. Capire l’altro non è perciò soltanto uno studio “a tavolino” della platea che vi ascolterà, ma intuire la complessità di emozioni, bisogni e paure. L’empatia non è dunque uno strumento per affermare le proprie posizioni, ma la capacità di vederle dal punto di vista dell’altro. Una prospettiva che ci può aiutare a giungere ad una sintesi o a capire, forse, che abbiamo semplicemente torto.

5. Comunicare le emozioni

Secondo gli studi dello psicologo statunitense Albert Mehrabian, gli elementi non verbali e paraverbali possono comunicare più di quelli verbali. Le analisi dello studioso dimostrarono che un soggetto, volendo comunicare sentimenti ed emozioni, riesce a trasferire soltanto il 7% del messaggio attraverso le parole. Si tratta di casi particolari, nei quali l’oggetto stesso della comunicazione è l’emozione o il sentimento (“sono preoccupato”, “ti amo”). Ciononostante, anche se stiamo parlando della fisica dei quanti, le emozioni continuano ad attraversare l’animo di chi parla e degli astanti. Insomma, non siate monotoni e metterci voi stessi. Voi che non siete fatti di parole, ma di emozioni.

6. Semplificare il messaggio

Non è necessario inserire locuzioni latine nel nostro discorso. L’autorevolezza che trasferiamo al pensiero non deriva da parole incomprensibili. L’interlocutore non sarà mai d’accordo con noi, se non ci capisce. Creare una distanza culturale con il pubblico attraverso un linguaggio aulico forse potrà cavarci d’impaccio sul momento, ma non avremmo convinto nessuno. Al primo intoppo lo stordimento causato dall’incomprensione si tramuterà in avversione nei nostri confronti.

7. Adeguatezza

Una mano sulla spalla può essere davvero troppo se non conoscete il vostro interlocutore. Se fissare l’altro negli occhi può inibire un connazionale, a maggior ragione intimidirà chi, ad esempio, proviene dal Giappone. Nel mostrarvi adeguati al messaggio che dovete comunicare e al vostro interlocutore può esservi di aiuto l’empatia. È importante riconoscere l’indole di chi vi sta di fronte, per capire se prediliga il canale cenestesico (ossia comunica attraverso le sensazioni fisiche) o, ad esempio, visivo (e che in genere predilige mantenere invalicabile la zona intima). Insomma, bisogna saper riconoscere il contesto e le regole che impone.

8. Problema al centro

Quando un confronto dialettico fa emergere visioni e progetti differenti, il discorso può degenerare nella lite o mostrarsi incapace di far giungere i due interlocutori ad un compromesso. In questi casi occorre ricordare a se stessi di scindere il problema emerso da chi, a proprio parere, ne è il portatore. Bisogna concentrare la propria e l’altrui attenzione sul problema. Supponiamo che un collega non abbia svolto un lavoro di sua compentenza e che occorra farglielo notare. Sarà opportuno chiedere “perché questo lavoro non è stato svolto?” e non “perché tu non hai fatto quel lavoro?”. Nel primo caso il problema è un disagio collettivo che pone entrambi sulla stessa barca; nel secondo si sottolinea una distanza e si sottintende una colpa già sentenziata.

9. Evitare i pregiudizi

Nei primi 3-5 minuti di conoscenza di una persona formuliamo un giudizio che difficilmente cambiamo. Spesso non ci sbagliamo, ma a volte sì. L’antipatia che nutriamo verso un interlocutore può influenzare il messaggio in maniera radicale. Un complimento può essere rielaborato come una lusinga così marcata da nascondere in realtà un dileggio. Una “cantonata” non da poco che è influenzata dal pregiudizio e, per di più, lo va a rafforzare. Ricordate sempre che non siete infallibili e che avete di fronte una persona che in 3 minuti avete solo iniziato a conoscere.

Contenuto pubblicitario a cura di Ciaopeople Studios.
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