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Strasburgo: “Diritto ad avere un figlio anche senza il legame biologico”

La Corte Europea dei diritti umani ha condannato l’Italia, che aveva negato a una coppia sposata di poter riconoscere come proprio figlio un bambino che non ha nessun legame biologico con loro, nato in Russia da madre surrogata.
A cura di Davide Falcioni
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La Corte Europea dei Diritti Umani ha condannato il nostro paese: l'Italia ha infatti violato il diritto di una coppia sposata a poter riconoscere come proprio figlio un bambino che non ha nessun legame biologico con loro, nato in Russia da madre surrogata. La sentenza riguarda il ricorso presentato nel 2012 a Strasburgo da un uomo e una donna di Colletorto, in provincia di Campobasso. I due, dopo aver tentato la fertilizzazione in vitro con i propri gameti in Italia, decisero di recarsi in Russia per ricorrere alla maternità sostitutiva, pratica che in quel paese è è legale.

Il figlio della coppia è nato nel 2011 ed è stato riconosciuto dalle autorità russe, iscritto all'anagrafe di Mosca come figlio legittimo dell'uomo e della donna. Appena rientrati in Italia i coniugi hanno chiesto la trascrizione dell'atto di nascita del piccolo nell'anagrafe italiana, ma la pratica viene rifiutata. L'obiezione delle autorità è che il certificato di nascita russo contenga informazioni false sulla vera identità dei genitori del piccolo.

In seguito con varie decisioni i tribunali italiani, avendo anche eseguito un test del Dna da cui non risulta alcun legame biologico tra padre e figlio, dichiarano il piccolo in stato d'abbandono affidandolo ad una famiglia d'accoglienza, e stabilendo che la coppia di Colletorto non deve avere più alcun contatto col bambino, e che non possono adottarlo. Secondo la Corte di Strasburgo i genitori italiani hanno subito una violazione, anche se "lo stato Italiano non è obbligato a restituire il bambino". Questo perché "il piccolo ha indubbiamente sviluppato dei legami emotivi con la famiglia d'accoglienza con cui vive dal 2013". L'Italia è stata condannata a pagare alla coppia 20mila euro per danni morali – loro ne avevano richiesti 100mila – e 10mila per le spese processuali.

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