Wyke mostra il defibrillatore sotto pelle che gli ha salvato la carriera: “Gioco grazie a Eriksen”
Il cuore di Charlie Wyke smise di battere all'improvviso e restò fermo per quattro minuti. Un attimo prima si stava allenando, un attimo dopo era steso sul campo del centro sportivo del Wigan. Intorno a lui fu buio all'improvviso, restò sospeso tra la vita e la morte. Proprio come accadde a Eriksen. A salvargli la vita fu il suo allenatore, fu il primo a soccorrerlo utilizzando il defibrillatore.
Un intervento provvidenziale che si riverbera nelle parole del calciatore 29enne. Oggi sta bene e nel match contro il Birminghan ha rivisto la luce, riassaporato il clima della competizione, (ri)assaggiato l'erba e la voglia matta di non rinunciare alla propria passione. "Nella vita non sai mai cosa può capitarti… se il tecnico non fosse stato addestrato e il dottore non fosse stato lì, allora non sarei qui oggi", racconta Wyke nello intervista a Sky Sports. La sorte ha voluto che due settimane prima Leam Richardson avesse seguito il corso per il trattamento salva-vita programmato dal club.
Wyke ha un defibrillatore che serve a evitare l'avvento di un altro cortocircuito. Alza la maglietta e mostra quella sorta di scatoletta che ha sul fianco sinistro, sotto pelle. Un interruttore automatico quando manca la luce all'improvviso. Nove mesi fa, dopo quel malore improvviso, nemmeno credeva che avrebbe rivisto da calciatore il rettangolo verde.
"È stato il giorno più spaventoso della mia vita. Mi stavo allenando normalmente e mi sono svegliato a terra, con la divisa tagliata e cinque membri dello staff che erano sopra di me… non sapevo nemmeno cosa mi fosse successo. L'ultima cosa che ricordo è stata fare un cenno al tecnico per dirgli che stavo male… ma non riuscivo nemmeno a parlare".
Assolutamente devastato. Wyke utilizza questa espressione per descrivere quei minuti in cui restò aggrappato a tutto ciò di più caro che aveva. Durante il trasporto in ambulanza era lucido abbastanza per capire quale fosse la gravità della situazione. "Quel viaggio in ospedale in ambulanza è stato così spaventoso – ha aggiunto il giocatore -. Quando mi è stato detto che si trattava di un arresto cardiaco ho subito pensato che la mia carriera calcistica fosse finita. È stato orribile, ero completamente devastato".
Accanto all'attaccante del Wigan c'era un angelo custode speciale. Mentre le sirene chiedevano strada, a tenerlo sotto osservazione c'era il medico del club, Jonathan Tobin, lo stesso che 10 anni fa ha salvato la vita di Fabrice Muamba sul campo di White Hart Lane. Una coincidenza del destino, di quelle che ti lasciano pensare e cambiano la tua vita per sempre.
Il ritorno alla normalità, al calcio giocato, però non è stato tutto rose e fiori. La favola bella di Wyke ha rischiato di avere un epilogo differente quando a marzo scorso, ancora una volta durante un allenamento, il meccanismo che ha in petto s'è attivato. La paura era dietro l'angolo, gli ha fatto lo sgambetto ma è rimasto in piedi.
Gli era sembrato un segnale chiarissimo: avrebbe dovuto appendere le scarpette al chiodo. Ma non è stato così, ha solo avuto bisogno di modificare la terapia farmacologica e oggi è ancora in squadra. "Rob Cooper del Liverpool Hospital non è solo il mio cardiologo, lo considero una famiglia. Mi dà conforto sapere che mi tiene d'occhio. Mi sveglio ogni mattina e gli invio i miei ritmi cardiaci. La prima cosa che faccio ogni giorno è accendere il Bluetooth e aspettare che le letture vengano caricate".
Come Eriksen. Le immagini del calciatore della Danimarca che crolla in campo durante gli Europei le ha ancora scolpite nella mente. Ci è passato anche lui, sa cosa vuol dire quell'orrore e qual è la sensazione che si prova dopo. "Tornare in campo mi ha fatto sentire meglio. È la battaglia più dura che abbia mai vissuto e ho trovato una forza interiore che non credevo di avere. Christian è stato per me un modello – ha aggiunto -, un esempio per trovare la forza e il coraggio di riprendere a giocare".