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Il metodo José Mourinho, miglior allenatore al mondo per una finale come Siviglia-Roma

José Mourinho, che ha reso la Roma una specialista delle competizioni europee, sfida la bellezza organizzata del Siviglia nella finale di Europa League e lo fa a modo suo.
A cura di Jvan Sica
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Allenare una squadra è un mestiere difficile ed estremamente specialistico. Bisogna avere competenze in una marea di ambiti che riguardano il corpo e la mente umana. Bisogna sapere come far rendere al meglio il fisco e il cuore di un atleta, un lavoro davvero difficile. Allenare una squadra di calcio per una sfida di 180 minuti è poi qualcosa di ancora più difficile e complesso, un lavoro che pochi sanno fare come Josè Mourinho. Allenare su 180 minuti vuol dire gestire il desiderio di essere troppo avventato in alcuni momenti della partita, soprattutto quella casalinga, e muovere al coraggio in altri momenti quando si gioca fuori casa.

Il calcio di oggi cerca in tutti i modi di annullare le differenze di atteggiamento tra le partite casalinghe e non, ma se il fattore campo pesa addirittura in NBA, il campionato dove il mantra è il livellamento di competitività necessario, senza che troppe variabili esterne vadano ad intaccare lo spettacolo, allora giocare in casa o fuori conta ancora qualcosa. Mourinho oggi è forse il miglior allenatore nel doppio confronto perché non vuole essere sempre lo stesso, avendo poi difficoltà a cambiare lo spartito, ma cerca anzi di essere sempre diverso, non concedendo così punti di riferimento agli avversari.

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Ma per Mourinho però è arrivato un altro banco di prova, qualcosa di completamente diverso rispetto alla sfida sui 180 minuti, qualcosa che si chiama finale. Eh beh, anche lì non è male. Delle finali europee che ha giocato non ne ha persa nemmeno una, tranne le tre di Supercoppa Europea. Anche in questo caso parliamo di un calcio ancora differente, di una spremuta quasi insopportabile di emozioni, a cui nessun allenamento fisico o training psicologico ti può mai abituare. Ma anche in questo caso Josè Mourinho è un maestro, perché sa far cambiare pelle alle sue squadre rispetto alle partite sui 180 minuti.

Se in quelle è camaleontico e quindi estremamente mutevole nelle diverse fasi del match, conoscendo come gestirne i ritmi, nelle finali ha sempre imposto il suo ritmo, ma non aggredendo senza scampo e cercando solo ed esclusivamente il pallone, bensì giocando negli interstizi di una partita speciale come la finale, riuscendo a instillare ai suoi calciatori una consapevolezza nuova, una forza di volontà e una voglia di aiutarsi decisiva nel superare le difficoltà.

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Le squadre di Mou in finale non fanno la partita tecnicamente parlando, ovvero gestendo il possesso, muovendo le difese avversarie, proponendo fasi di gioco prolungate, ma la fanno emotivamente, prendendo in mano il destino di quei minuti che ci sono da giocare, quasi spingendo la partita verso un risultato che deve essere quello che appare inevitabile. Per questo motivo il Siviglia, squadra splendida perché armoniosa nel suo gioco corale e rapido sembra essere un avversario quasi perfetto per il Mourinho delle finali. Se gli altri giocano e corrono, la Roma saprà farsi incassatrice, saprà difendere attivamente e credere nei suoi contrattacchi, non sparacchiarli a vuoto come a Leverkusen.

Se il Siviglia è una sorta di appendice di questa competizione che ha vinto sei volte dal 2006 al 2020, Mourinho è il maestro dei tornei europei, che lui domina con la sua personalità che passa alla squadra, una personalità che non convince solo ad attaccare forte e a far paura agli avversari, ma anche a darsi una mano in ogni attimo della partita. Sarà lo scontro tra la bellezza organizzata e la bella organizzazione. Chissà chi trionferà.

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