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A 20 anni da “Practice” di Allen Iverson: una delle più iconiche conferenze di sempre

20 anni fa, un giorno dopo la sconfitta in gara 5 del secondo turno Playoffs contro i Boston Celtics, “The Answer” regalò una delle più incredibili conferenze mai viste.
A cura di Luca Mazzella
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Più che un giocatore, un’icona culturale che in maniera trasversale è diventata idolo non solo degli amanti dello sport, ma anche della cultura hip-hop, della moda, dello stile che dal campo ha reso con lui i giocatori dei riferimenti estetici per intere generazioni. Tra treccine, tatuaggi e tanti, tantissimi canestri Allen Iverson, al secolo The Answer, è stato uno dei giocatori più rappresentativi del basket NBA che tra il finire degli anni ’90 e i primi anni del 2000 ha raccolto l’eredità di Michael Jordan lanciando il nuovo corso di fenomeni della pallacanestro NBA. E tra le tante gesta che lo hanno reso popolare e unico sul parquet, Iverson ha lasciato il segno anche con le parole, in una conferenza che proprio in queste ore spegne 20 candeline. Sbollita da poco più di un giorno la delusione per l’eliminazione al primo turno di Playoffs contro i Boston Celtics, nel bel mezzo delle voci riguardanti una sua possibile cessione e ancora colpito dalla morte di un carissimo amico in Virginia pochi giorni prima, su pressione dei media e nonostante un primo rifiuto alla richiesta della franchigia stessa di indire una conferenza per rasserenare i toni, The Answer si presentò quasi a sorpresa in sala stampa per rispondere su un presunto allenamento saltato proprio nel corso della serie contro i Celtics. E come un fiume in piena in pochi minuti espresse senza troppi giri di parola il suo disappunto per delle critiche nemmeno troppo velate ricevute coach Larry Brown aveva mosso dopo gara 5, lasciando intendere appunto che al centro delle polemiche ci fosse una "practice" saltata.

"Forse ho saltato solo un allenamento quest'anno, ma se qualcuno dice che potrei averne saltato uno, che non mi sono allenato, parla di un singolo allenamento… su un anno. Se non posso allenarmi, non lo faccio. Se sto male, sto male, ma non si tratta solo di questo e lo sapete. È facile parlarne, è facile fare polemica quando si parla solo di un allenamento. Siamo seduti qui oggi, io dovrei essere l'uomo franchigia e qui stiamo parlando di un allenamento ragazzi, non di una partita. Non di una partita in cui ho dato tutto fino alla morte e come fosse l'ultima della mia vita, ma solo di un allenamento. Quanto è stupida questa cosa? So che avrei dovuto essere lì, so che avrei dovuto essere un esempio e non lo sto ignorando, ma stiamo parlando di un allenamento!"

Per 22 volte Iverson, con la solita t-shirt bianca e il cappellino, nominò la parola “practice”, ovvero allenamento, rimarcando quanto questo non dovesse ricevere così tanta attenzione rispetto a una partita e al suo impegno sui 48 minuti, rispondendo a muso duro alla stessa maniera a tutte le provocazioni dei giornalisti presenti. Diverse penne in America hanno poi ripreso negli anni la conferenza, evidenziando come durante il suo bizzarro monologo Iverson fosse probabilmente poco lucido dopo aver bevuto troppo la notte precedente, rendendo a loro modo ancora più incredibili quei minuti di sfogo, ma non ci sono sufficienti conferme in tal senso. Quello che è certo è che con queste parole, che puntualmente ogni anno vengono riprese su ogni media americano e spesso citate da tanti giocatori attuali che proprio grazie al numero 3 dei 76ers si sono avvicinati al gioco, Iverson non ha fatto che accrescere il suo mito di ribelle e animo controcorrente, innalzandolo a dismisura nel suo modo di affrontare polemiche e pressioni.

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