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Davide Lanzafame a Fanpage.it: “Ripresa? Il calcio è uno sport di contatto, è un problema serio”

“Non c’è nulla di concreto come in Italia”: anche in Ungheria c’è incertezza in merito alla ripresa del campionato dopo lo stop forzato a causa del Covid-19. A parlarne è Davide Lanzafame, ex attaccante di Juventus, Parma e Bari e attuale stella dell’Honved, che ai microfoni di Fanpage.it ha rivelato come sta vivendo questo momento a Budapest con la sua famiglia, si è soffermato sul suo passato e del prossimo futuro.
A cura di Vito Lamorte
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"Nemo propheta in patria". Mai più locuzione fu più adatta per Davide Lanzafame. L'attaccante di Torino, classe 1987, non è mai riuscito a fare il salto di qualità in Italia ma dal suo approdo in Ungheria i numeri parlano tutti a suo favore: due scudetti con due squadre diverse, Honved e Ferencvaros, due volte consecutive capocannoniere e una volta calciatore dell'anno (2017/2018). L'ex calciatore di Juventus, Parma, Bari, Palermo e Bari, attuale capocannoniere del campionato ungherese con 11 gol, ai microfoni di Fanpage.it ha parlato di come sta vivendo lo stop del campionato a Budapest causa del Covid-19, del suo passato e del prossimo futuro.

Come stai e dove stai vivendo il periodo di distanziamento sociale e come sta gestendo il governo ungherese l’emergenza Covid-19? Ci sono misure che vede diverse rispetto a quelle dell’Italia?
"Abbastanza bene. Qua non c'è lockdown, le attività sono chiuse e non c'è l'obbligo di stare in casa ma la gente comunque esce meno rispetto a prima. Rispetto all'Italia c'è molta differenza perché si può fare jogging liberamente e non ci sono particolari problemi per fare la spesa sia per noi che per gli anziani. Tutto questo in sicurezza e con la mascherina anche se non c'è l'obbligo. C'è una buona educazione civica".

Il campionato ungherese si è fermato il 16 marzo, in ritardo rispetto alle altre leghe: si sta parlando già di una ripresa oppure è ancora tutto fermo?
"Non c'è nulla di concreto, al momento sono tutte ipotesi, proprio come in Italia. Tre squadre hanno già iniziato a lavorare a gruppi e noi inizieremo la settimana prossima in questo modo, niente docce al campo e poi si capirà come si evolverà la situazione. Il calcio è uno sport di contatto e questo è un problema serio: bisogna capire cosa accadrà perché a parte le solite parole sui "calciatori privilegiati" dobbiamo pensare a quante persone lavorano intorno allo sport e quanti sono in difficoltà. Anche i sistemi più collaudati hanno avuto problemi e bisognerà trovare la migliore soluzione per ripartire. Vedremo cosa succederà".

Al timone della sua squadra prima dello stop c’era Beppe Sannino ma quando tutto questo sarà finito non lo ritroverà al suo posto: può dirci cosa sa di quella situazione?
"In comune accordo con la società una parte dello staff e lui stesso hanno deciso di tornare dalle loro famiglie e hanno sciogliere il contratto in maniera consensuale. Ho sentito mister Sannino dopo e gli ho augurato il meglio per il suo futuro".

Nei primi giorni della pandemia hai avvertito qualche forma di discriminazione per il fatto di essere italiano?
"Noi italiani qui in Ungheria siamo molto apprezzati, oltre al calcio ci sono molti imprenditori che investono qui e sono visti di buon occhio, ma all'inizio della pandemia c'è stato qualche problema perché l'Italia era l'unico stato dopo la Cina ad avere più contagiati e inconsciamente c'era un occhio di riguardo. Molti ristoranti italiani hanno avuto un calo di affluenza ma dopo è diventato un problema mondiale e la situazione è tornata alla normalità".

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In Ungheria hai trovato la sua isola felice: due scudetti con due squadre diverse, Honved e Ferencvaros, due volte consecutive capocannoniere e calciatore dell'anno nel 2017/2018. Cosa è mancato a Lanzafame in Italia per fare il salto di qualità: lo spazio o ha influito la giovane età?
"Sono qui da quattro anni e mezzo e questo è il posto dove ho giocato di più e con più continuità. Ho cambiato molto volte squadra e ha sicuramente influito ma io non sono abituato a cercare scuse. Purtroppo so di avere un carattere particolare e quando non sento fiducia tendo a non dare il meglio. A Bari, a Parma e a Perugia penso di aver fatto bene, all'Honved mi sono rilanciato alla grande e poi c'è stato lo step al Ferencvaros prima del ritorno all'Honved".

Ci racconti la storia della possibile convocazione nella nazionale ungherese? È stata reale oppure è nata dai giornali ed è stata un po’ cavalcata per il suo buon rendimento?
"È nato tutto da una supposizione giornalistica e io ho subito detto che sarebbe stato un onore perché l'Ungheria mi ha adottato. È stato un grande attestato di stima e mi ha inorgoglito molto il dibattito che si è creato intorno a questa situazione. Con la presenza di Marco Rossi come selezionatore, tecnico che conosco bene, sarebbe stato anche più facile per me l'inserimento e una bella soddisfazione ma dopo alcuni riscontri si è capito che era impraticabile a livello burocratico. Ci tengo a ribadire che non è nato da me ma è stata una soddisfazione scoprire la stima che c'è nei miei confronti".

A 33 anni pensa ancora ad un possibile ritorno in Italia oppure ormai Budapest è diventata casa sua?
"Nella vita mai dire mai. Sarebbe difficile dire di no ad un club di Serie A ma so che comunque le squadre sono delle aziende e preferiscono lavorare e dare spazio ai loro giovani. Allo stesso tempo, però, devo dire che io qui mi sento importante e apprezzato e la mia vita si sta dispiegando qui anche per le mie figlie. È molto probabile che il mio percorso continui all'estero".

Se dovessi riavvolgere il nastro della sua carriera e dovesse pensare a due momenti precisi, uno positivo e uno negativo, quali indicherebbe e perché?
"Non sono uno che ama guardare indietro, proprio come carattere e come modo di fare, ma se dovessi scegliere direi: di positivo c'è sicuramente l'aver toccato la Juventus, perché per un giocatore vivere quella realtà è un traguardo importante. Io ci sono arrivato e non ci sono rimasto, che è la cosa più difficile, ma non tutti possono dire di aver indossato la maglia bianconera. Mi ha dato un grande dispiacere l'essere andato da Perugia perché fino a poco tempo prima ero capitano e mi sentivo apprezzato. Ad un certo punto non ho sentito la stessa fiducia e ho reagito in maniera istintiva, come ho sempre fatto nella mia carriera, ma non essermi imposto lì mi ha dato dispiacere perché è una piazza importante che merita la Serie A".

Cosa ti è mancato per trovare spazio a lungo nella Juventus?
"Nel semestre con Delneri venivo utilizzato molto da esterno ma io ho sempre fatto la seconda punta e cambiare ruolo mi ha destabilizzato molto. Ho vinto il Viareggio e ho fatto il capocannoniere da seconda punta ma giocare in un ruolo non mio non mi ha aiutato. Probabilmente non ero ancora pronto sotto diversi fattori ad indossare una maglia così e allo stress che comporta: se avessi avuto un'occasione con Conte, che mi conosceva già, qualche mese dopo nessuno può dire come sarebbe cambiata la mia carriera ma con i ‘se' e con i ‘ma' nella vita non si fa nulla nella vita".

Quando ti ricapita, oggi, di rileggere i paragoni di qualche anno fa con Cristiano Ronaldo?
"Inizialmente, quando non ho fatto quello che qualcuno si aspettava, c'era un po' di dispiacere ma dopo l'ho sempre vissuto come una cosa eccessiva. Io all'epoca ero un giovane di prospettiva, che col sennò del poi poteva avere un successo maggiore, ma è un aneddoto che in tanti ripescano spesso e mi fa sorridere".

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