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Perché la serie Noi non ha funzionato in Italia

Noi, remake italiano di This is Us, ha deluso un po’ tutti. Qui cerchiamo di capire come mai nemmeno l’Auditel abbia premiato l’inosabile esperimento di Rai 1.
A cura di Grazia Sambruna
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Le premesse già non erano delle più floride. Noi, remake italiano dell’amatissima serie This is Us, è partito domenica 6 marzo su Rai 1, tra mille perplessità del pubblico, soprattutto di quello social. Del resto, ci voleva un atto di fede estremo per non farsi spaventare da un’impresa simile: alcuni progetti entrano così nel cuore dei fan, nonché nella storia con la S maiuscola, che l’annuncio di un rifacimento di This is Us già dalle prime foto di lancio, era suonato come se la Rai si fosse messa in testa di rifare il Padrino con Ivano Michetti dei Cugini di Campagna al posto di Marlon Brando. Praticamente, una bestemmia. A messa in onda conclusa, si può fare un bilancio di questa esperimento mediatico. Mano ai (bassi) ascolti medi, sarebbe molto facile gridare subito al flop. Molto più interessante, invece, provare a capire come mai Noi, tuttora in forse per una seconda stagione, non abbia funzionato.

Eravamo partiti disillusi: per quanto lo sceneggiatore della serie, Sandro Petraglia, ci avesse parlato della grande sfida di convincere i fedelissimi fan della versione originale a dare un occhio al remake italiano, l'allure che il progetto emanava suonava fin dal principio più o meno così: “Noi non è per noi”. Allora scopriamo perché, nonostante la resistenza dello zoccolo duro geriatrico che senza Rai 1 non prende sonno, Noi non ha fatto breccia nel cuore di questo target “pregiato”. 

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I commenti sui social, per una volta, possono tornare molto utili a dipanare questa perigliosa matassa: sotto a post in cui si parla di Noi, sono in molti a commentare con cuoricini e plausi alla bravura degli interpreti Lino Guanciale e Aurora Ruffino. La quasi totalità di questi utenti, però, precisa di non aver visto la serie originale. Anzi, seguitando a scorrere le varie emoji glitterate con tazzine di caffè e rose rosse, emerge anche qualche perplessità sulla struttura del racconto: i salti temporali risultano essere stati recepiti dall’italico pubblico sul divano come una sorta di spoiler rispetto a ciò che verrà poi. Si legge, infatti: “Ma se so già cosa succederà a *personaggio X*, perché dovrei guardarmi una seconda stagione? Che peccato, non volevo saperlo!”.

Altri, lamentano che la successione dei piani temporali all’interno di uno stesso episodio, crei troppa confusione e non renda agile la comprensione del racconto. Bene, i salti temporali sono stati maldigerati dal pubblico nostrano, nonostante fossero stati una geniale intuizione autoriale per l’intera serie originale. Ma, allo stesso tempo, come ben dice lo sceneggiatore Petraglia a Fanpage.it non si potevano certo falciare via: “La caratteristica di This is us, nonché la sua invenzione più grande, è proprio raccontare due o tre fasce temporali diverse, rimettere tutto in fila avrebbe completamente cambiato il senso del lavoro fatto dagli autori americani. Questo tipo di tradimento sarebbe stato insostenibile, inaccettabile”. E concordiamo.

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Quindi abbiamo da una parte una fetta di pubblico che rifiuta a prescindere di guardare Noi perché troppo affezionata all’originale e un’altra, quella in target, disorientata e affaticata dalla struttura stessa del racconto. Era prevedibile che sarebbe andata a finire così? Più di un’ipnosi farlocca di Giucas Casella in tv, ma resta la stima per averci provato lo stesso. “Non ho mai visto nessuno andare incontro a un calcio in faccia con la tua calma, indifferenza, sembra quasi che ti piaccia” cantava Nicolò Fabi nel 1998 e ci pare un complimento (?) adattabilissimo, visto che di adattamento stiamo parlando, agli autori di questa Noi che oggi, se il progetto avesse sbancato l’Auditel, sarebbero considerati alla stregua di eroi visionari. E forse, in un certo senso, lo sono stati.

Hanno lavorato male? Questo proprio non si può dire: nonostante qualche scelta di casting da colpetti di tosse imbarazzati, il lavoro per rendere “più italiana” una serie che nella cultura americana nasce, cresce e corre, si è reso evidente di puntata in puntata. Lo si vede dai dettagli e dai cambiamenti, anche da quelli che hanno creato maggiore polemica: il fatto che Becca, replicante dell’originale Beth, fosse interpretata da Angela Ciaburri, non esattamente afroamericana, aveva sollevato più d’una perplessità. Ma su questo, in corso di messa in onda, era ben sceso in campo il regista Luca Rubioli mettendo in evidenza l’ovvio: “Betta non è nera perché in Italia le probabilità che due famiglie di colore si incontrassero a fine anni Ottanta erano davvero poche”. Traspare una sorta di amor di coerenza in questa spiegazione che troviamo raro e quindi più che apprezzabile.

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Altre dichiarazioni, onestamente, ci sono parse un filo più fuori luogo: Noi ha ascolti bassi perché in Italia vanno sempre e solo i soliti minestroni”, ha dichiarato Lino Guanciale, perdendo un’ottima occasione per limitarsi a lasciar parlare il proprio lavoro. Lavoro che l’ha visto protagonista di così tanti (amatissimi) “minestroni” tv che verrebbe da scomodare il più solenne dei “Tu quoque”. Anche la questione ammantata di bodyshaming fatta emergere da Aurora Ruffino è parsa un filo sopra le righe: è vero che il suo aspetto da perenne ragazzina (beata lei!) non l'abbia aiutata a renderla credibile nel ruolo di Rebecca. Ma, al tempo stesso, le critiche in tal senso rivolte al suo personaggio, erano chiaramente dirette al reparto make up o, al limite, all’ufficio casting, più che a lei in quanto persona fisica.

Quando una serie non ottiene i risultati sperati, certo, l’aria si fa nervosetta ma la gestione dei bassi ascolti è stata accompagnata da dichiarazioni e polemiche, anche da parte dello stesso cast, così sterili che difficilmente avrebbero portato un Thisisusiano convinto a dare una chance a Noi. Anzi. Questo tipo di esternazioni, fuoriuscite da un progetto già malvisto in partenza, non hanno fatto che acuire il pregiudizio, la malfidenza di quella certa parte di pubblico che pur si voleva, nelle intenzioni, attirare.

Troppo facile ridurre tutto a “L’Italia non è pronta”, considerati anche solo gli incassi delle major che, al cinema, giocano al Multiverso. Accolta male e seguita ancora peggio, al netto del grande lavoro autoriale, Noi non aveva chance di farcela nel palinsesto del Servizio Pubblico. E, infatti, così è stato. Senza grosse sorprese. Un peccato? Al netto del plauso al coraggio, probabilmente no. Se è vero che, come insegna This is us: “Non esiste limone troppo aspro da non poterci fare qualcosa di vagamente simile a una limonata”, Noi dimostra che quella limonata, in fin dei conti, aspra possa rimanere comunque. E come quel "vagamente simile", alla fine, non disseti nessuno.

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