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Opinioni

Capire l’Ucraina con Servant of the people di Zelensky? Meglio una partita a Risiko

Volodymyr Zelensky e la sua Servitore del Popolo, dal 4 aprile su La7, sono una cocente delusione. Poca Ucraina e molto ego, l’ex comedian non diverte.
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A cura di Grazia Sambruna
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Prima era in odore di Oscar, come guest star. Poi no, ha ripiegato su una comparsata ai Grammy. Ora ce lo ritroviamo su La7 con Servitore del popolo insieme a una pletora social di “sarà opportuno in questo momento storico? Fuori luogo?”. Volodymyr Zelensky arriva in Italia grazie al colpaccio della rete di Cairo in prima visione assoluta con la sua Servitore del Popolo, la serie andata in onda in Ucraina dal 2015 che l’ha condotto, di puntata in puntata, verso la Presidenza del Paese oggi falcidiato dalle bombe di Vladimir Putin.

Disclaimer d’obbligo: qui non troverete alcuna considerazione geopolitica. Se è vero che la serie ci mostra un’Ucraina che purtroppo oggi non c’è più, vogliamo analizzare quanto trasmesso da un punto di vista meramente televisivo. E allora non c’è scampo: l’uomo dalla comunicazione più brillante del pianeta, posto che avendo come metro di paragone la Russia non è che ci voglia granché, ha sfornato una serie davvero noiosetta e zeppa di cliché. Su un professore del liceo che diventa Presidente? No, sul culto di se stesso.

Per carità, capita a tutti: perfino Ricky Gervais è riuscito a far deflagrare la sua splendida After Life (Netflix) in un potpourri di melassa autoreferenziale in cui ogni scena pareva piazzata lì per glorificare il suo legittimamente gigantesco ego. Ora, Zelensky quando ha ideato, scritto e co-girato Servitore del popolo, non era Gervais. Il suo personaggio, Vasyl Petrovych Holoborodko, è un qualunque impiegato fantozziano tornato a vivere dai genitori dopo il divorzio che per campare insegna, con grande passione, in un liceo del paesello in cui vive. Vessato dalla famiglia, perfino dalla nipote neo-diciottenne, il nostro protagonista perennemente in canotta stile spot Coca Cola anni Novanta è l’emblema del disagio solo per cinque faticosissimi minuti.

La svolta, infatti, arriva repentina: quattro individui ben vestiti gli piombano in casa annunciandogli elegantemente che lui sarà l’Eletto, Neo, pardon il nuovo Presidente dell’Ucraina. Come è potuto accadere? Grazie a un video postato online dai suoi studenti in cui il nostro prorompe in un’arringa da populista contro la malapolitica ed esprime la fatidica frase: “Mettessero me al potere per una settimana, cambierebbe tutto!!”. Et voilà. Se lo desideri accade, direbbe Barbarella d’Urso.

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Peccato però, al netto del fatto che siano passati sette lunghi anni dalla prima messa in onda della serie, che si tratti di una storia già vista e stravista almeno dalle nostre parti. E no, non stiamo parlando del Movimento 5 Stelle di cui, alla fine, di eminente davvero e tuttora pressoché benvoluto, ci è rimasto solo Fedez che all’epoca dei V-Day cantava l’inno dei grillini. Si tratta di una storia già vista e stravista, dicevamo, perché due anni prima di Servitore del popolo, nei cinema italiani sbarcava Benvenuto Presidente con Claudio Bisio nei panni del buon Giuseppe Garibaldi, semplice omonimo nella vita bidello che, per uno scherzo del destino e di scrutinio elettorale, si ritrovava eletto alla carica più alta dello Stato. Non un film che vi consiglieremmo, per quanto avesse ottenuto pure un sequel, come del resto non siamo qui a tesser lodi di questo polpettone ucraino il cui problema, oltre al fatto che si rida molto di rado per non dire mai, è la spocchia. 

Zelensky dorme agitato la sera che precede la sua prima conferenza stampa ufficiale, a cui si presenterà in ritardo e impreparato vincendo la simpatia di tutti i presenti perché, alla fine, tutto il mondo è paese. Se per “paese” intendiamo Narnia. Al capezzale del suo giaciglio domestico, comunque, appaiono gli spiriti di Erodoto e Plutarco a vegliare su di lui discettando di quale potrebbe essere la struttura politica migliore da far abbracciare all’Ucraina tutta. Nientedimeno? Nientedimeno.

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Zelensky-Vasyl poi, di giorno, con una faccia perennemente instupidita a metà strada tra Frank Matano e Checco Zalone, è la persona migliore del mondo: affabile, sempre ben disposto nei confronti di una famiglia che non lo stima, innamorato della Storia, la materia che insegna a scuola e inadatto a comprendere le stramberie della politica, come gli strani sotterfugi che essa comporta. Amato così tanto dagli studenti che, alle sue spalle, aprono un crowdfunding da 2 milioni di grivnie ucraine (pari a poco più di 60mila euro) per permettergli di candidarsi davvero alla Presidenza dopo lo sbrocco populista diventato virale online. Sì, ci piace perché sogna e fa sognare, il caro maestro. Ma resta così tanto uno di noi, o meglio uno che vale uno, che ai piani alti del potere sarebbe durato giusto il tempo di inciampare dal rooftop durante il primo brunch d’insediamento.

La satira, almeno in questi primi episodi, è così scarsa e fastidiosamente ovvia da far rivalutare la sublime sottigliezza del Bagaglino al Salone Margherita, dalla Signora Coriandoli alle torte in faccia. Ma con molto meno brio. Spiace ammetterlo ma più che la serie di un comedian corrosivo, pare la tesina delle medie che quello stesso futuro comedian corrosivo avrebbe portato davanti alla commissione d’esame. Per poi vergognarsene a vita. In poche parole: se non fosse il tragico momento storico che invece è, non ne starebbe parlando nessuno né tantomeno Netflix USA ne avrebbe acquisito i diritti di trasmissione. Se c'è chi s'illude che possa essere una chiave utile a comprendere meglio la situazione Ucraina e il fenomeno Zelenzky, potremmo dire che in linea teorica ci fossero tutte le motivazioni per aspettarselo. Nella pratica, guardare Servitore del popolo in questa chiave è come voler scandagliare i meandri della geopolitca internazionale praticando intense sessioni di Risiko coi nipotini.

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Si legge sui social che il doppiaggio italiano non abbia aiutato a far assaporare le infinite sfumature di meraviglia che Servitore del popolo, in realtà, avrebbe in sé. Certo, perché la visione in ucraino coi sottotitoli, invece, sarebbe stata una gioia intellettuale sopraffina. Anche agile alla comprensione. Nulla da dire sulla voce nostrana del protagonista che è quella di Luca Bizzarri. L’ex Iena fa quello che può con un copione che è quello che è. Se non  altro, a ogni battuta, ci si aspetta di vedere Zelensky trasformarsi in un lama. Purtroppo, non accade. Le follie del Presidente. 

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Sto scrivendo. Perennemente in attesa che il sollevamento di questioni venga riconosciuto come disciplina olimpica.
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