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Slot, interfacciarsi, feedback: come l’aziendalese sta distruggendo l’italiano

Slot, visionare, feedback, analisi da desk: l’aziendalese ha invaso le nostre vite creando l’antilingua, come la definì Italo Calvino. Quante volte chiudiamo una conversazione con un parente o un amico con il più impiegatizio degli: “Ci aggiorniamo”?
A cura di Redazione Cultura
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Dopo vent'anni di semplificazione del linguaggio amministrativo per la pubblica amministrazione, la lingua burocratica delle aziende, la lingue dei padroni, si è trasformata in un vero e proprio idioma: aziendalese, lo chiamano gli esperti. Si tratta, ormai, della (brutta) lingua vincente in uso nel Belpaese, la lingua triste di un'Italia triste, che non fa che usare stilemi pigri, nelogismi inutilmente complicati e anglismi usati per dire ciò che potremmo dire nel nostro italiano. Quella che Italo Calvino definitiva l'antilingua è oggi diventata la lingua di tutti. Termini inutili, spesso brutti, che soprattutto generano espressioni del parlato orrende, sono ormai il nostro pane quotidiano.

Quel che è peggio è che sempre più politici, insegnanti, giornalisti usano questa neolingua, l'aziendalese fatto di "slot", "visionare", "obliterare", "sottoscrivere", insopportabili anglismi come "analisi da desk" o l'intramontabile "valutazione delle performance" accompagnato dal suo cugino "briefing" e dal fratello minote "feedback". I migliori "spacciatori" di questa lingua aziendale, in genere, sono proprio i lavoratori, gli impiegati, quel ceto medio composto da persone normali che dagli imbrogli degli azzeccagarbugli avrebbero solo da perderci.

Nonostante gli appelli degli intellettuali (anzi, forse proprio anche a causa loro), il degrado della lingua italiana in un idioma sterile ha ormai invaso le nostre giornate, le mail, nonché lettere che dovrebbero avere un tono formale, impadronendosi persino delle nostre conversazioni. Quante volte chiudiamo una conversazione con un parente o un amico lasciandoci andare al tipico: "Ci aggiorniamo"? Nei casi più disperati, siamo anche capace di relegare la nostra vita affettiva ai primi "slot liberi". Come uscire da quest'incubo? Sarebbe bello avere oggi ancora un Tullio De Mauro per provare ad affrontare la questione.

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