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Siria, un appello per dire “basta” al sostegno alla repressione

Vi proponiamo un appello, firmato da giornalisti, blogger, scrittori, analisti e studiosi per dire no al resoconto distorto degli eventi in corso in Siria che stanno offrendo alcuni movimenti e parte delle testate di informazione italiana.
A cura di Redazione
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A protester takes part in a European dem

I sanguinosi fatti di cronaca degli ultimi giorni, con l'ennesima strage di civili e con la morte di oltre 30 bambini, hanno drammaticamente riportato l'attenzione dei media sulla Siria. Un Paese sotto il giogo di un regime corrotto e illiberale, che sta reprimendo duramente una "rivoluzione nata in maniera spontanea sulla scia delle altre rivolte arabe". Il tutto fra l'indifferenza e la cattiva informazione dei media tradizionali, che stanno informando in maniera parziale e in alcuni casi addirittura distorta, mettendo in dubbio le "fondamenta pacifiche" di una rivolta che è essenzialmente popolare. Ecco il motivo dell'appello che vi proponiamo, un grido d'allarme firmato da studiosi, giornalisti, arabisti e professori universitari (e che potete consultare integralmente sul sito):

Con questo appello ci dissociamo e condanniamo la posizione e il tipo di copertura mediatica che molti movimenti e testate giornalistiche italiane – da alcune d’ispirazione pacifista e anti-imperialista a quelle vicine ad alcuni ambienti cattolici o filo-israeliani – dimostrano nei confronti della rivoluzione in Siria.

Molti di questi attori continuano a offrire un resoconto distorto degli eventi in corso, sostenendo che la rivolta è guidata dall’esterno, dunque non autentica, mettendone in dubbio il fondamento pacifico e sostenendo di fatto la brutale repressione da parte del regime di Bashar al Asad.

Usano categorie che appartengono a una logica capovolta: diventa “laico” un regime clanico e che da decenni esercita il potere sfruttando le divisioni comunitarie; diventa “terrorismo” la resistenza a una repressione feroce del dissenso.

In modo altrettanto grave, questi sostenitori del regime di Damasco ignorano o fanno finta di ignorare i numerosi e drammatici episodi di dissenso interno contro il regime degli al Asad da quarant’anni ad oggi, considerando nella loro analisi solo gli eventi post-15 marzo 2011.

I firmatari di questo appello sostengono che:

1)    La rivoluzione siriana è spontanea e di natura popolare, nata sulla scia delle altre rivolte arabe.

2)    Il regime siriano è non solo corrotto, ma le politiche pseudo-liberiste che ha portato avanti negli ultimi anni hanno favorito le élites vicine agli al Asad, allargando drammaticamente la forbice tra ricchi e poveri: la rivoluzione nasce prima di tutto dalla richiesta di redistribuzione della ricchezza e di giustizia sociale.

3)    Non esiste un complotto straniero contro il regime siriano che dalla fine della Guerra Fredda assicura invece stabilità alla regione – in particolare al Medio Oriente post-11/9 – ed è stato per anni un interlocutore importante per gli Stati Uniti.

4)    Non è vero che ci sia una campagna mediatica contro il regime di Bashar al Asad. Pur ammettendo ingenuità o esagerazioni da parte dagli attivisti anti-regime, le fonti credibili esistono e sono numerose. La scelta di non lasciar lavorare liberamente i giornalisti nel Paese ricade completamente sul regime. Molti di coloro che affermano che le fonti degli attivisti siano false e artefatte, spesso non conoscono l’arabo e basano dunque le proprie valutazioni sulla lettura di fonti secondarie in lingue occidentali, tradendo uno dei principi fondamentali del giornalismo e della ricerca.

5)    I principali valori in nome dei quali la rivoluzione è portata avanti non sono di natura strettamente religiosa: libertà, dignità, giustizia sociale, rispetto dei diritti umani, trasparenza nella politica. Pertanto la rivoluzione siriana non è un’insurrezione dei sunniti contro alawiti e cristiani, i quali spesso invece sono dissidenti ed attivisti e, per questo, ancora più perseguitati. È stato il regime che fin dall’inizio – confermando l’antica strategia del divide et impera – ha strumentalizzato le divisioni etnico-comunitarie ed evitato un autentico dialogo nazionale. Gruppi religiosi estremisti nell’ambito della rivolta esistono, ma rappresentano un’esigua minoranza.

6)    La deriva militare della rivolta è il risultato della brutale repressione del regime contro un movimento rimasto pacifico per lunghi mesi e che continua a esser tale in numerose località e città. La tesi secondo cui i gruppi dell’Esercito libero siano pesantemente armati da potenze straniere contrasta in modo lampante con l’incapacità dei ribelli di sostenere confronti armati aperti con i governativi. Nonostante gli atti ingiustificati di violenza da parte dei ribelli armati, le differenze tra i due schieramenti sul piano dei crimini commessi sono enormi: i numeri contano.

7)    Non siamo a favore di un intervento militare in Siria. La polemica intorno a questo punto, tuttavia, rappresenta un argomento inutile e strumentale, essendo evidente che nessuna potenza straniera occidentale sia intenzionata a intervenire militarmente a sostegno della rivoluzione.

8)    Le considerazioni di tipo geopolitico sul futuro della Siria sono doverose, ma non possono servire da pretesto per un rimescolamento delle responsabilità e un capovolgimento di ruolo tra oppressore e oppresso. La condanna delle pratiche del regime e la solidarietà ai resistenti dovrebbero invece costituire la precondizione per discutere scenari futuri e negoziare le modalità di uscita dalla crisi.

 Aderisci all’appello. Scrivi a appellosiria2012@gmail.com

Primi firmatari (in ordine alfabetico)

– Marco Allegra, Research Fellow presso il Centro de Investigação e Estudos de Sociologia (CIES), Instituto Universitàrio de Lisboa (IUL).

– Sergio Bianchi, assistente d’insegnamento presso l’Institut des hautes études internationales et du développement (Iheid) di Ginevra.

– Estella Carpi, Ph.D. student, The University of Sydney.

– Elena Chiti, arabista e traduttrice.

– Ramona Ciucani, arabista e traduttrice.

– Mirko Colleoni, arabista e ricercatore indipendente.

– Giovanni Curatola, professore, docente di Archeologia e storia dell’arte musulmana alle università di Udine e Milano.

– Isadora D’Aimmo, docente a contratto di letteratura Araba, Università di Firenze, domiciliata al Cairo.

– Paolo Dall’Oglio, fondatore della comunità monastica di Mar Musa, Siria.

– Enrico De Angelis, Ph.D. (oggetto: comunicazione politica in Siria), Ricercatore presso il CEDEJ, Cairo.

– Lorenzo Declich, Ph.D., arabista, Tutto in 30 Secondi – Appunti e note sul mondo islamico contemporaneo.

– Marcella Emiliani, già Prof.ssa di Storia e Istituzioni del Medio Oriente presso la facoltà ‘Roberto Ruffilli’ dell’Università di Bologna (polo di Forlì).

– Stefano Femminis, direttore della rivista ‘Popoli’.

– Ersilia Francesca, professoressa, docente di Storia dei Paesi islamici presso l’Università degli studi di Napoli L’Orientale.

– Sara Fregonese, British Academy Postdoctoral Fellowship, UK.

– Gennaro Gervasio, Professore, British University, Cairo.

– Giuseppe Giulietti, deputato e portavoce di Articolo 21.

– Jolanda Guardi, Universitat Rovira i Virgili, Tarragona, Spagna.

– Michelangelo Guida, Department of Political Science and Public Administration, Fatih University, Istanbul.

– Marco Hamam, Ph.D., docente di lingua araba.

– Michael Humphrey, professore, Department of Sociology and Social Policy, The University of Sydney.

– Amara Lakhous, Ph.D., scrittore.

– Alfredo Laudiero, già docente di Storia dell’Europa orientale presso l’Università degli Studi di Napoli L’Orientale.

– Il Lavoro Culturale

– Guido Moltedo, scrittore e giornalista.

– Aldo Nicosia, Ph.D., ricercatore e docente di lingua araba.

– Samuela Pagani, docente di Lingua e Letteratura araba presso l’Università degli studi di Napoli L’Orientale.

– Maria Elena Paniconi, ricercatrice di lingua e letteratura araba, Università degli Studi di Macerata.

– Marinella Perrone, docente presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, Roma, e Presidente Coordinamento teologhe italiane.

– Caterina Pinto, arabista e traduttrice.

– Alberto Savioli, archeologo con una decennale esperienza in Siria.

– Marcello Scalisi, direttore esecutivo di Unimed, Unione delle Università del Mediterraneo.

– Lucia Sorbera, Ph.D., Department of Arabic and Islamic Studies, University of Sidney.

– Mariagiovanna Stasolla, professore di Storia dei Paesi Islamici presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata

– Antonella Straface, docente di Lingua araba presso l’Università degli studi di Napoli L’Orientale.

– Younis Tawfik, scrittore, docente di Lingua araba presso l’Università di Genova.

– Andrea Teti, Co-Director Interdisciplinary Approaches to Violence, Department of Politics & IR, University of Aberdeen, UK.

– Mattia Toaldo, Post-Doctoral fellow British School at Rome/Society for Libyan Studies.

– Lorenzo Trombetta, Ph.D. (oggetto: La struttura del potere nella Siria degli al Asad), studioso di Siria contemporanea.

– Anna Vanzan, docente di Cultura araba presso l’Università degli Studi di Milano.

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