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Sfruttati dalla politica e con paghe da fame: i portaborse protestano e chiedono diritti

I collaboratori parlamentari scendono in piazza e chiedono assunzioni trasparenti e contratti regolari. I portaborse vorrebbero che l’Italia adottasse una regolamentazione sul modello europeo dove la retribuzione è gestita direttamente dall’istituzione e non dal singolo eurodeputato.
A cura di Maurizia Marcoaldi
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Foto scattata durante il flash mob dei collaboratori parlamentari di fronte Montecitorio
Foto scattata durante il flash mob dei collaboratori parlamentari di fronte Montecitorio

Un falsh mob di fronte a Montecitorio. Così i collaboratori parlamentari, i cosiddetti portaborse, si sono dati appuntamento qualche giorno fa in piazza e hanno scelto di protestare contro un sistema di retribuzione che li vede sottopagati, costretti a compiere mansioni che esulano dal lavoro per cui sono stati assunti e alle volte anche ricattati, come ha dimostrato un’inchiesta video di Fanpage. Quello che rivendicano sono assunzioni trasparenti e contratti regolari.

Proprio qualche giorno anche un’inchiesta delle Iene, realizzata da Filippo Roma, ha raccontato i retroscena del sistema di retribuzione e assunzione dei collaboratori parlamentari. Secondo il servizio, il sottosegretario alla difesa Domenico Rossi avrebbe fatto assumere come collaboratore fittizio, da un collega parlamentare, il figlio che però non solo non si presenterebbe mai a lavoro, non percepirebbe alcuno stipendio dal deputato perché in realtà gli arriverebbe direttamente dal padre.

Ed ecco che l’Associazione italiana collaboratori parlamentari (Aicp) è scesa in piazza accanto ai manifestanti per chiedere un contratto regolare e non uno di collaborazione gestito singolarmente dal singolo deputato.

In linea generale quello che dovrebbe fare un portaborse è svolgere un insieme di mansioni: dall'ufficio stampa alla segreteria; dalla comunicazione legislativa, come scrivere emendamenti o bozze, alla gestione dei social, fino alla gestione dei rapporti con il territorio e l’elettorato di riferimento. Il problema è però che molto spesso le mansioni, oltre a essere sottopagate o non pagate affatto, finiscono per riguardare tutt’altro. Come è emerso dall’inchiesta di Fanpage, alcuni collaboratori parlamentari finiscono per “portare a spasso il cane del deputato” oppure sono costretti a subire ricatti di natura sessuale.

Cosa prevede la legge attuale

I portaborse vengono pagati attraverso i rimborsi per l’esecuzione del mandato. Questo rimborso è di 3690 euro al mese per la Camera e di 4180 mensili per il Senato. Con le spese di mandato si coprono i rimborsi per i collaboratori, le spese di ufficio, le banche dati e i convegni. Il parlamentare però deve giustificare soltanto la metà di questa cifra e in questa metà fa spesso rientrare i contratti dei collaboratori. L'altra metà, invece, viene utilizzata dal parlamentare a sua discrezione. E così sono oltre 22 mila euro all'anno, per singolo deputato, su cui non ci sono controlli perché la documentazione deve essere conservata solo per quattro mesi, dopodiché non è più possibile fare verifiche per gli organi di Camera e Senato.

Non ci sono numeri ufficiali sulla mensilità che percepisce un collaboratore parlamentare. Si parla comunque di circa 1000- 1.200 al mese. Per quanto riguarda i contratti non c’è uno standard adottato. La maggior parte viene assunta con il Co.co.co, ma molti lavorano in nero. I più fortunati hanno un contratto a tempo determinato con uno stipendio che si aggira tra 1100 e 1200 al mese. Molti sono a progetto e non hanno così le tutele come la maternità, le ferie, gli scatti di anzianità, la tredicesima o il riconoscimento della malattia.

Cosa chiedono i collaboratori parlamentari

I collaboratori parlamentari chiedono una regolamentazione dei loro contratti sul modello della normativa europea. Nel Parlamento europeo il contratto del portaborse viene gestito dall’amministrazione e non dal singolo eurodeputato. In questo modo si evitano gli abusi. Inoltre esistono delle fasce retributive per le varie figure che rispondono alle diverse qualifiche del singolo collaboratore. La presidente della Camera, Laura Boldrini, ha recentemente incontrato i rappresentanti dell’Aicp e ha promesso di rilanciare una proposta per adottare in Italia la stessa disciplina che è in vigore attualmente in Europa. Boldrini ha incaricato il collegio dei questori della Camera di istituire un’istruttoria per capire se si può agire in tal senso. Una proposta era già stata fatta nel 2015, quando si chiese che il rapporto con il collaboratore venisse gestito direttamente dall’istituzione Camera, ma venne bloccata per resistenza delle forze politiche.

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