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Sergio Marchionne, il manager sconosciuto che salvò la Fiat sull’orlo del fallimento

Quando Sergio Marchionne arrivò in Fiat, per volere di Umberto Agnelli, nessuno o quasi sapeva chi fosse il manager che nel giro di pochi anni avrebbe resuscitato una delle storiche aziende italiane, che al suo arrivo era di fatto sull’orlo del fallimento e praticamente pronta alla cessione a General Motors.
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A cura di Charlotte Matteini
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Tra ovazioni e forti critiche, questa mattina l'ex ad di Fca, Sergio Marchionne, è morto dopo un lungo calvario. La figura di Sergio Marchionne è stata molto divisiva, amata dai sostenitori del libero mercato e odiata dai sindacati, i quali per molto tempo ne hanno contestato le politiche industriali ma soprattutto gli attacchi ai diritti dei lavoratori. Sergio Marchionne, però, per quanto sia stato indubbiamente un "manager tutto d'un pezzo", ha avuto un merito riconosciuto anche dagli avversari: ha risanato un'azienda che sembrava avere solo pochi mesi di vita davanti.

Quando Sergio Marchionne arrivò in Fiat, per volere di Umberto Agnelli, nessuno o quasi sapeva chi fosse il manager che nel giro di pochi anni avrebbe resuscitato una delle storiche aziende italiane. Sergio Marchionne, abruzzese figlio di un maresciallo dei carabinieri e di una profuga istriana di famiglia benestante, non era un nome noto negli ambienti della finanza industriale, nonostante avesse lavorato a lungo in banche d'affari e società di revisione di conti. Non era una persona famosa, in sostanza, ma Agnelli notò una serie di qualità che lo portarono a decidere di affidargli la guida di una Fiat sull'orlo del fallimento pochi giorni prima di morire.

All'inizio degli anni 2000, Marchionne venne nominato amministratore delegato della Sgs di Ginevra, azienda operante in servizi di ispezione, verifica e certificazione, e venne notato da Agnelli – su suggerimento di una serie di soci – in quanto riuscì a risanare il gruppo in soli 2 anni. Sergio Marchionne entrò in Fiat nel 2003 come consigliere di amministrazione e successivamente, nel 2004, divenne prima amministratore delegato del gruppo e in seguito a capo anche di Fiat Auto. A Marchionne venne affidata la gestione di un gruppo industriale ormai in dissesto. "Perdiamo due milioni di euro al giorno, la situazione non è semplice", disse appena arrivato in Fiat.

Nel giro di pochi anni, tra provvedimenti considerati impopolari dai sindacati e mosse industriali poco comprensibili ai più, Sergio Marchionne portò la Fiat dall'orlo del fallimento a diventare leader del mercato globale del settore e sesto costruttore del mondo. Al suo arrivo, Fiat valeva circa 3 miliardi di euro e stava per essere acquistata da General Motors. Marchionne, però, si oppose, ruppe il patto siglato con GM e ne impedì l'acquisizione, presentando in seguito una serie di piani industriali che portarono Fiat a comprare Chrysler, anch'essa sull'orlo del dissesto, e a creare un colosso da 4,5 milioni di automobili l'anno.

Risanare Fiat sembrava un'impresa impossibile, agli inizi del 2000 in pochi credevano fosse possibile, ma nel giro di meno di cinque anni il gruppo aveva cominciato a navigare in ottime acque. Dopo la riconversione di 3 miliardi di debiti grazie a un accordo con le banche, la famiglia Agnelli mantenne il controllo di Fiat e riuscì ad evitare la cessione dell'azienda a GM e questo fu in assoluto il primo e forse più importante successo dell'era Marchionne. A soli 2 anni dall'entrata in scena di Marchionne, Fiat registra – dopo molti anni di perdite – un utile di 1,4 miliardi e il risultato della gestione ordinaria è venti volte superiore a quello del 2004. Nel 2006, Sergio Marchionne annuncia che Fiat è definitivamente uscita dalla situazione di emergenza in cui versava a inizio 2000 e da quel momento il gruppo guarda al futuro puntando alla crescita e all'espansione e non più alla mera salvezza.

Nel 2008 sorgono alcuni problemi, complice la crisi economica globale la Fiat deve rivedere i propri piani di investimento e fare ricorso alla cassa integrazione:  "Il 2009 sarà l’anno più difficile della mia vita perché sono state spazzate via le condizioni sulle quali avevamo definito i nostri programmi", dichiarò Marchionne. Poco dopo, però, arrivò la svolta.

Nel 2009, dopo una lunga trattativa con il governo Usa, i sindacati americani e il beneplacito dell'allora presidente Barack Obama, Marchionne acquisisce Chrysler, che si fonderà con Fiat, e crea Fca, la nuova holding che raggruppa le due grandi aziende di automotive, e nel corso degli anni lancia una serie di nuovi modelli – tra cui la nuova 500 e la Grande Punto per la Fiat e 16 modelli per Chrysler- che portano la produzione a crescere a dismisura. Con la creazione di Fca, iniziano a montare le proteste perché il gruppo Fiat, per la prima volta in oltre un secolo di storia, sposta il proprio domicilio fiscale a Londra e la propria sede legale in Olanda, una mossa vista come fumo negli occhi dai sostenitori dell'italianità a tutti i costi. Fca viene inoltre quotata in Borsa nei mercati di Wall Street e Milano.

Nel corso dei 14 anni di gestione, Marchionne si è scontrato sia con Confindustria – decidendo di uscire dall'associazione degli industriali nel 2011 – sia, soprattutto, con i sindacati. La Cgil, soprattutto, ha sempre considerato le richieste dell'allora ad irricevibili. Marchionne, per esempio, chiese alla Cgil di rinunciare allo sciopero contro il piano Fabbrica Italia e apportò una serie di modifiche alle condizioni lavorative dei dipendenti Fiat, modifiche considerate oltremodo peggiorative. "Sergio Marchionne, cui è sempre andata la stima della Cgil, ha l’indubbio merito di aver salvato un’azienda morente. Uomo di grande intelligenza e capacità manageriale, è stato in grado di non soffermarsi ai problemi di breve periodo, ma di guardare oltre, rivitalizzando e rilanciando un’impresa in grande difficoltà, portando il suo core business nel cuore del mercato automobilistico più importante, facendola diventare uno dei grandi player globali del settore. Duro negoziatore, bravo organizzatore, non ha però saputo né voluto indirizzare l’azienda che guidava al dialogo e alla collaborazione con una parte importante dei lavoratori italiani. Una scelta, sanzionata dalla Corte Costituzionale, costata conflitto, arretramenti, incomprensioni, che si sono riverberati, oltre che nelle relazioni sindacali, nella società e negli sviluppi industriali. L’aver praticato la divisione sindacale e aver abbandonato la contrattazione nazionale, infatti, sono state opzioni non imposte dalla contingenza industriale, finanziaria o economica. Oggi mentre permangono molte incognite sul futuro delle produzioni e dei livelli occupazionali in Italia, FCA ha la necessità di adottare un piano industriale e di affrontare i nodi ancora irrisolti che restano e si ripropongono non solo alla nuova dirigenza, ma alla stessa proprietà e ai decisori pubblici", ha commentato oggi la Cgil, riconoscendone i meriti ma anche evidenziandone gli errori.

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Milanese, classe 1987, da sempre appassionata di politica. Il mio morboso interesse per la materia affonda le sue radici nel lontano 1993, in piena Tangentopoli, grazie a (o per colpa di) mio padre, che al posto di farmi vedere i cartoni animati, mi iniziò al magico mondo delle meraviglie costringendomi a seguire estenuanti maratone politiche. Dopo un'adolescenza turbolenta da pasionaria di sinistra, a 19 anni circa ho cominciato a mettere in discussione le mie idee e con il tempo sono diventata una liberale, liberista e libertaria convinta.
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