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“Se sbarchiamo qui ci ammazzano sicuro”, il grido di disperazione dei migranti a bordo del Niven

“Preferisco morire piuttosto di abbandonare la nave”, ha affermato uno dei 79 migranti a bordo del cargo “Niven”. Il mercantile panamense, dopo aver salvato i profughi nel Mediterraneo, li ha condotti a Misurata, in Libia. Da oltre una settimana i migranti si rifiutano di scendere per la paura di essere ricondotti nei centri di detenzione libici dove hanno subito torture di ogni tipo. Poche ore fa le forze armate libiche hanno fatto irruzione per costringere con la forza i migranti a scendere dal “Niven”. “Alcune persone sono rimaste ferite”, denuncia la Ong Mediterranea.
A cura di Mirko Bellis
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I migranti a bordo del cargo "Niven" da oltre una settimana. (Mediterranea)
I migranti a bordo del cargo "Niven" da oltre una settimana. (Mediterranea)

“Se sbarco da questa nave mi ammazzano. Possono fare quello che vogliono ma io non scendo”. Christin Igussol, un ragazzo eritreo, è uno dei 79 migranti a bordo del “Nivin”, un cargo battente bandiera panamense, ancorato da giorni al porto di Misurata. L’8 novembre il mercantile ha salvato nel Mediterraneo centrale un gruppo di migranti e rifugiati, tra cui diversi bambini, che cercava di raggiungere le coste europee. Sul barcone viaggiavano 95 persone: etiopi, eritrei, sud sudanesi, pakistani, bengalesi e somali. Dopo aver soccorso l’imbarcazione in difficoltà, il “Nivin” ha fatto rotta verso la Libia ed è approdato il 10 novembre a Misurata. Da allora è iniziato un braccio di ferro tra le autorità libiche e i migranti che non volevano abbandonare la nave. Dopo l’intervento di diverse organizzazioni umanitarie, 14 persone, tra cui una mamma e il figlio di quattro mesi, sono sbarcati e sono stati trasferiti in un centro di detenzione. Ma il resto dei migranti ha deciso di non scendere dal cargo.

Come la maggior parte dei migranti e dei rifugiati che passano attraverso la Libia, le persone a bordo del “Nivin” hanno raccontato di aver subito trattamenti orribili, tra cui estorsioni, torture e obbligo di lavori forzati. “Mi hanno venduto tre volte – prosegue Christin – poi mi hanno punito. Mio fratello è morto tra le mie braccia”. “Non è solo la mia decisione, anche tutti gli altri la pensano così. Non scenderemo. Ci serve una soluzione in fretta perché siamo in cattive condizioni”. La disperazione di Christin è simile a quella degli altri migranti a bordo del cargo. Una di loro ha riferito di essere stato già trattenuto in otto diversi centri di detenzione. “Preferisco morire sulla nave”, ha detto al team di Medici senza Frontiere quando gli è stato proposto il trasferimento in una struttura medica in Libia.

“Le proteste a bordo del mercantile, ora ancorato nella rada di Misurata, dà una chiara indicazione delle condizioni terribili dei centri di detenzione libici per migranti e rifugiati, in cui torture, stupri, pestaggi, estorsioni e ulteriori violenze sono all'ordine del giorno”, ha dichiarato Heba Morayef, direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. Julien Raickman, a capo della missione di Medici senza Frontiere in Libia, ha dichiarato: “È una vergogna che, ancora una volta, l'unica risposta data alle persone in cerca di sicurezza sia prolungare la detenzione arbitraria nel Paese da cui stanno disperatamente scappando”.

Le autorità libiche hanno avvertito che il rifiuto dei migranti di abbandonare la nave può creare un pericoloso precedente. “L'ammutinamento dei migranti può spingere le navi commerciali ad evitare le operazioni di salvataggio”, ha detto Ayoub Qasim, portavoce della marina libica. La vicenda del mercantile “Nivin” si svolge proprio mentre dai centri di detenzione libici arrivano notizie di rifugiati e migranti che minacciano di suicidarsi, come ha tentato di fare un giovane eritreo alcuni giorni fa, o lo fanno, come un somalo che si è dato fuoco. All'inizio di questa settimana, Amnesty International ha denunciato che migliaia di migranti e rifugiati continuano a essere intrappolati, in condizioni aberranti e senza via d’uscita, nei centri di detenzione libici. “Sulla base del diritto internazionale – ha proseguito Morayef – nessuno dovrebbe essere respinto verso un paese in cui la sua vita sia a rischio. I governi europei e quello di Panama devono, insieme alle autorità libiche, trovare una soluzione per le persone a bordo per assicurare che queste non vengano trattenute a tempo indeterminato nei centri di detenzione libici dove la tortura è la regola”.

“Il governo italiano intervenga urgentemente nei confronti delle varie autorità libiche per garantire un’evacuazione immediata dei profughi a bordo della nave Nivin, permettendo loro di raggiungere in sicurezza l’Europa attraverso un corridoio umanitario, liberando anche l’equipaggio del cargo che ha solo obbedito agli ordini imposti e che si trova anch'esso ostaggio, da giorni, di una situazione terribile e pericolosa”, è quanto chiede Liberi e Uguali in un’interrogazione rivolta anche ai ministri Toninelli e Moavero.

“L’Europa non può più ignorare le catastrofiche conseguenze delle politiche che ha adottato per fermare le partenze attraverso il Mediterraneo. Le proteste in atto a bordo del mercantile devono suonare come una sveglia per i governi europei e per la comunità internazionale nel suo complesso: la Libia non è un paese sicuro per i migranti e i rifugiati”, ha concluso la direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord Morayef.

Aggiornamento: Poche ore fa le forze di sicurezza libiche hanno fatto irruzione sul “Niven” per costringere i profughi a scendere dalla nave. Ne dà notizia con un tweet Mediterranea, la Ong che in questi giorni ha seguito tutta la vicenda dei migranti a bordo del cargo ancorato a Misurata.

La Ong denuncia anche notizie di "violenze", con "persone ferite in ospedale e altre ricondotte a forza nei centri libici". "Italia e Ue si assumano responsabilità delle loro scelte politiche. Vogliamo conoscere la sorte di ciascuno dei profughi".

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