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Se anche D’Alema è costretto ad ammettere che Renzi è più bravo

D’Alema cede lo scettro a Renzi nella cornice del Tempio di Adriano.
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Al teatro di Adriano in Roma è andata in scena un vero e proprio passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo. Il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha partecipato alla presentazione del libro di Massimo D’Alema “Non solo euro”. Sotto lo sguardo attento di Mario Orfeo e una sala gremita di persone è andata in onda l'incontro tra le due anime del Pd che si sono a lungo combattute.

Da una parte Matteo Renzi, uomo di centro, Presidente del Consiglio, democristiano, popolare e infine “demokrat”, dall’altra Massimo D’Alema, ex Presidente del Consiglio, comunista, diessino e (anch’egli infine) “demokrat”.

Su barricate differenti nel corso delle due primarie (una persa, l’altra vinta da Renzi), acerrimi nemici, pronti a pungolarsi nel corso di quest’anni, eppure… Eppure erano seduti l’uno accanto l'altro come se nulla fosse successo. Come se, in fondo, si fossero sempre cercati.

Diversi in tutto, nel linguaggio, nell’abbigliamento (l'uno con la cravatta, l'altro senza), nel modo di rivolgersi al palco (D’Alema parla costantemente rivolto a Renzi, mentre il Presidente del Consiglio guarda la platea).

Un'ora di dibattito in cui non sono gli interventi ad essere interessanti quanto piuttosto gli atteggiamenti dei due politici. Anzi, l’atteggiamento di D’Alema che deve ammettere di utilizzare un linguaggio vecchio (rispetto a quello dell’ex sindaco di Firenze), che “non saprebbe parlare come lui”. “Io direi spostare il peso della fiscalità mentre lui dice ’vi ritroverete in tasca 80 euro’”. L’ammissione di D’Alema è “la difesa della storia di una generazione” – come ha poi aggiunto – ma è anche la presa di coscienza che è giunto il momento di affidarsi ad un uomo capace di comunicare. Che è arrivato il momento di scegliere un politico che sappia andare in tv ma anche twittare. Un uomo che vada nelle scuole ma che sappia anche sedersi al tavolo della Merkel e di Hollande.

D’Alema ha capito meglio dei suoi stessi compagni di partito la forza di Renzi, la sua dirompete capacità di parlare alla massa come né lui, né Bersani, né Franceschini, Veltroni e Prodi hanno saputo fare. E allora sceglie la cornice del Tempio di Adriano, il direttore del Tg1 e le telecamere del PD per cedere le scettro di “lìder maximo” all'attuale Presidente del Consiglio.

Lo fa con sagacia e intelligenza ma lo fa anche creando una dicotomia tra lui che “scrive le lettere” e Renzi che “twitta” quasi come a sostenere ancora di più l’aderenza a questo tempo dell’ex sindaco di Firenze.

E’ un passaggio di consegne, è il momento che il Paritto Democratico tutto si unisce intorno al suo nuovo segretario per sostenerlo nella corsa all’Europa (di cui D’Alema vuole diventare Ministro degli Esteri e per farlo avrà bisogno del segretario del PD).

E’ il vecchio che cede il passo al nuovo (ma che conserva per sé e per i suoi, tre Ministeri chiave: Giustizia, Economia e Lavoro, nonché la delega ai servizi segreti) e lo fa più per necessità che per vera aderenza ideologica. D'Alema sta a Renzi, come Ratzinger a Bergoglio. Entrambi capaci di farsi da parte quando hanno capito di non esser più attuali. Entrambi uomini di potere che hanno scelto un ruolo di secondo piano per dare spazio a chi sa interpretare questo tempo.

Ora tocca a Renzi. E' il suo tempo. Ce la farà?

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Ex direttore d'AgoraVox, già professore di Brand Strategy e Comunicazione Pubblicitaria Internazionale presso  GES -  Grandes Écoles Spécialisées di Parigi. Ex Direttore di Fanpage.it, oggi Direttore di Deepinto.
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