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Sciopero Rai? È ora di privatizzare (come votarono gli italiani nel 1995)

Il carrozzone RAI pagherà la crisi, sembrerebbe. Ma i sindacati scioperano. Rimane un’unica soluzione: riproporre la privatizzazione RAI, abbandonata dal 1995. Senza se e senza ma.
A cura di Charlotte Matteini
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Scenario, Anno 2014. Matteo Renzi diventa premier. Un premier, sembrerebbe, leggermente più riformista dei suoi predecessori. Subito inizia ad annunciare rottamazioni e cambiamenti.

Tra le tante riforme proclamate, spunta un microscopico taglietto da 150 milioni di euro al bilancio dell’intoccabile voragine Rai. Un miracolo, in Italia. Una rivoluzione. Inizialmente propone la vendita di una quota di RAIWay, la società proprietaria delle infrastrutture di trasmissione della televisione pubblica, in alternativa un taglio alle gonfie voci di bilancio RAI. Niente da fare, gli intoccabili di Stato insorgono, offesi. Non sono abituati a risparmiare i soldi dei contribuenti.

Subito i sindacati hanno proclamato scioperi, sostenuti da un capannello di politici sedicenti liberali, favorevoli al libero mercato solo a parole, che strepitano e si stracciano le vesti per difendere il “servizio pubblico”.  S’attacca il servizio pubblico, dicono. E’ in pericolo la pluralità dell’informazione, sentenziano. Tutto questo baccano per un taglietto.

Tanto per rinfrescare la memoria. Anno 1995, sono passati quasi vent’anni dalla vittoria dei “Sì” del referendum radicale che proponeva l’abrogazione della norma che definisce “pubblica” la Rai per avviarne la conseguente privatizzazione, con il 54,90% di votanti favorevoli. E sono ormai quasi vent’anni che quella volontà espressa dal popolo italiano viene costantemente ignorata dal legislatore e dai politici tutti. Questo decise il popolo sovrano tanto amato da chi ora alza le barricate contro il taglietto agli sprechi.

E quale miglior momento se non questo per ritirare fuori questa volontà ignorata e sbeffeggiata, visti i recenti accadimenti? No, non dovremmo tagliare 150 milioncini al carrozzone inefficiente qual è nella realtà dei fatti la Rai. Se vogliamo davvero iniziare a riformare questo Paese e colpire le vere caste e rendite di posizione, dovremmo avere il coraggio di riprendere in mano quel risultato referendario e comunicare agli strepitanti sindacati reazionari che si intende onorare quella battaglia e avviare la privatizzazione della RAI. Come decisero vent’anni fa i legittimi datori di lavoro paganti: i cittadini italiani.

Perché, va bene tutto, ma qui la crisi sono i soliti vessati contribuenti italiani a pagarla. Per loro lo sconto sulle tasse, nonostante i proclami, non arriva mai. E aziende e famiglie operano tagli alle proprie spese e ai propri risicati bilanci già da anni. Ci spiace, ma i sacrifici questa volta dovete farli anche voi. E i 150 milioni non sarebbero che briciole rispetto ai 2,7 miliardi di fatturato annui, di cui circa 1,6 vengono indebitamente prelevati dalle tasche dei cittadini costretti a pagare un balzello forzoso per tal “possesso di apparecchi radiotelevisivi” per pagare un servizio che di pubblico ormai ha ben poco.

Ma ciò che più fa specie di tutta questa tafazziana vicenda, non è tanto la levata di scudi dei sindacati che, figuriamoci, era alquanto prevedibile parlando di riduzione degli sprechi. No, quello che più fa specie è che la tanto vituperata e agognata privatizzazione del carrozzone venga osteggiata da intellettuali e politici che agitano lo spettro della scomparsa della pluralità dell’informazione e della par condicio.

Ma davvero siamo rimasti così indietro? Ma davvero c’è bisogno di difendere ciò che nei fatti è un poltronificio per difendere il diritto all’informazione? Ma davvero qualcuno pensa che i 2,7 miliardi spesi ogni anno servano a mantenere il tanto difeso servizio pubblico e che non ci siano sprechi? Ma davvero qualcuno pensa che i 13229 dipendenti, più della somma totale dei lavoratori in forza a Mediaset, Sky e Ti Media messe insieme, siano tutti indispensabili, illicenziabili e assunti per meriti?

Perché in Italia “pubblico”, mi spiace deludere gli utopisti, altro non significa che lottizzazione politica. Proprio ciò contro cui gli stessi intellettuali e politici che ora difendono la RAI con le unghie e con i denti, a parole combattono da anni, ma nei fatti strepitano invece per mantenere viva e più forte che mai una gestione clientelare e inefficiente dei soldi dei cittadini, buttati senza un minimo di pudore per finanziare non iniziative educative e informative, ma per trovare pagare laute prebende a dirigenti trombati dalla politica da piazzare in qualche posto ben remunerato o per sostenere fallimentari progetti, sempre dei soliti amici degli amici, che in un vero libero mercato non troverebbero spazio perché non interessanti, perché non di qualità. Altro che garanzia di pluralità ed efficienza.

In due parole? Sostenere a spada tratta e ciecamente questo servizio pubblico equivale a sostenere il cancro italiano del capitalismo relazionale, sistema quanto più deleterio e inefficiente esista e primo responsabile del declino di questo Paese.

Privatizziamo il carrozzone RAI, iniziamo a scardinare questo sistema. Il vero cambiamento parte da qui.

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