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Salone del Libro di Torino: esserci o non esserci nonostante CasaPound?

Le polemiche che rischiano di trasformare il Salone del Libro di Torino nel “Salone di Casapound” costituiscono una vicenda intricata e dolorosa per il mondo culturale italiano. Davanti a ciò, esserci o non esserci, non è il vero problema. Il problema è il dibattito antifascista: “Noi siamo o non siamo come loro?”
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A cura di Andrea Melis
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Parole urgenti

Le polemiche che rischiano di trasformare il Salone del Libro di Torino nel "Salotto di Casapound" rappresentano una vicenda intricata e certamente dolorosa per il mondo culturale italiano. Ma come sempre, davanti a fatti nuovi, o quantomeno insoliti, per usare un eufemismo, ci sarà necessità di riflettere. E tanto prima lo si farà tanto meglio sarà per tutti. Oramai la presenza degli eredi di chi bruciava i libri degli ebrei e degli oppositori politici in piazza alla kermesse di Torino è un dato di fatto. A questo punto, più che domandarsi di chi sia la colpa, bisognerebbe chiedersi se il fattaccio è solo una questione di spazi e stand o piuttosto di tempi.

I tempi sono più che maturi per un dibattito antifascista serio, costruttivo, direi urgente come non lo era stato mai dal dopoguerra. I tempi sono più che maturi, forse persino andanti sul marcio, per ripensare una linea comune contro ogni reviviscènza e revisionismo nero. Chi nega che esista un'emergenza democratica si domandi almeno come siamo arrivati a offrire la platea culturale più importante d'Italia a un picchiatore pregiudicato che ha potuto impunemente affermare "Sono fascista e l'antifascismo è il male d'Italia". Davanti a ciò, esserci o non esserci, non è chiaramente il problema.

Lo è trovare il coraggio di fare un “reframing” – come usa dire di questi tempi – delle pratiche, del linguaggio e dell’agire antifascista, ognuno con gli strumenti che ha, ma tutti nell’intento comune di impedire che un fatto del genere accada di nuovo. Che un fatto del genere sia preludio a qualsivoglia altro deterioramento degli spazi e dei tempi della democrazia. I miei strumenti sono quelli della parola militante. Oggi al servizio di domande che io stesso temo farmi, ma quanto mai necessarie: "Noi non siamo come loro". Grazie a quanti oltre a leggere, vorranno prendere parte e contribuire alla riflessione.

Noi non siamo come loro

Noi non siamo come loro? Si lo siamo.
Ma abbiamo scelto di non esserlo.
Di non essere ignoranti, razzisti, ladri, affaristi, guerrafondai, fascisti.
Noi dovremmo scegliere di non andare?
O dovremmo scegliere di esserci?
Noi dovremmo scegliere di non tradire la resistenza e la Costituzione, questo è certo, pacifico, la linea è comune, comune il dovere.
Ma come?
Noi non siamo come loro? Oh, sì che lo siamo.
E come loro sapremmo avere grandi vantaggi a lasciar morire in mare gli innocenti
a continuare a violentare le diversità e l'uguaglianza.
Noi non siamo come loro?
Si che lo siamo.
Forse non sapremmo essere anche noi pecore e conduttori? Indottrinati e imbonitori?
Forse non sapremmo pure noi voltare la faccia altrove davanti ai soprusi?
Metterci in tasca un privilegio?
Lasciarci utilizzare, corrompere e farci corrompere?
Forse non sapremmo pure noi tenere la bocca chiusa e fare gli egoisti?
Oh, sì che sappiamo essere come loro.
La differenza è che noi abbiamo scelto la via della giustizia e della libertà,
che è un calvario di problemi complessi
e grattacapi e fastidi e morti e calunnie
e sberleffi e prigioni e repressioni e dittature e vendette e ricatti e minacce e terrori secolari.
Fardelli che accettiamo, consci del prezzo delle nostre scelte.
Per questo io non credo a chi lotta contro i fascisti al grido di “noi non siamo come loro”.
Nascondersi in un "noi non siamo come loro", vuol dire concedere anche a loro l'alibi di non essere come noi.
Significa negare loro la stessa nostra capacità e responsabilità di aver scelto, la nostra stessa consapevolezza nell’arbitrio.
"Noi non siamo come loro" è un regalo che non possiamo concedere,
che equivarrebbe a certificare una loro diversità antropologica,
una sorta di tara, di malattia congenita, ineluttabile, che li differenzierebbe da noi.
Una falsità a nostro danno, soprattutto:
loro hanno scelto di non essere noi con la stessa forza e convinzione
con la quale noi abbiamo scelto di non essere loro.
Per questo
è tempo di discutere della mossa futura,
e non più solo di come arginare l'esistente.
Noi che sappiamo e abbiam saputo scegliere forte quanto loro,
dobbiamo chiederci se è arrivato il momento di essere democratici con tutti
o piuttosto democratici solo coi democratici
pacifisti solo coi pacifisti
altruisti solo verso i generosi
e fascisti contro i fascisti,
impedendo loro la libertà, lo spazio, la parola.
Non ci deve mancare il coraggio di chiederci
se l’unica cura contro il fascismo sia il fascismo stesso,
come il vaccino contro il virus
È una domanda che fa male.  A me per primo.
Come quando davanti a mia figlia che gioca col fuoco
mi resta il dubbio se sia meglio lasciarla scottare
o levarle l'accendino.
Ma se glielo levo,
certamente non è per dispetto né per vendetta: è per il bene suo, mio,  e di tutti quelli che le stanno accanto.
Si chiama educazione.
Allora chiediamoci se a quanti giocano pericolosamente con la democrazia questa vada levata al più presto dalle mani.
Noi che sappiamo e abbiam saputo scegliere forte quanto loro,
dobbiamo chiederci se è arrivato il momento di scegliere ancora, per non subire le loro scelte.
Noi non siamo come loro? Si che lo siamo.
Ma come noi abbiamo avuto il coraggio di stare con la libertà e la giustizia
anziché decidere di credere, obbedire e combattere,
pagando cara la nostra militanza democratica,
loro sono fuori dalla democrazia
e dalla Costituzione per identica libera scelta.
Che non ne abbiano pagato mai
e tutt'ora non ne paghino mai,
mai,
mai
il prezzo
è la peggiore ingiustizia che si possa infliggere a tutte le donne e gli uomini liberi,
vivi e morti per questa nostra libertà.
Noi non siamo come loro? Si lo siamo.
Ma non possiamo essere peggio di loro, forti coi deboli e deboli coi forti.
Noi dobbiamo essere sempre forti
e loro sempre deboli.

(Andrea Melis Parolaio)

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Andrea Melis (Cagliari, 1979), grafico, videomaker e scrittore, ha pubblicato articoli di cultura, interviste, inchieste e racconti per riviste e quotidiani nazionali e stranieri. Tra i membri fondatori del Collettivo Sabot, ha firmato romanzi insieme ad autori come Massimo Carlotto e Francesco Abate, tra cui Perdas de Fogu (E/O, 2008). La sua prima opera in poesia, #Bisogni, una selezione di versi autoprodotta in mille copie grazie a una campagna di crowdfunding, è andata esaurita in poco più di un mese. Il suo ultimo libro è edito da Feltrinelli, Piccole tracce di vita. Poesie urgenti (2018). Collabora come autore di testi con artisti, illustratori, fotografi, musicisti e compagnie teatrali di tutta Italia. Scrive editoriali poetici per FanPage.it
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