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Emergenza lavoro

“Ho lavorato 13 anni in nero: la titolare diceva ‘se ci tieni tanto, i contributi pagateli da sola’”

Fabiana ha lavorato per tredici anni in un negozio a Roma, senza un contratto. “Sostenevano che costava troppo ma non era vero, li vedevo gli incassi. Dicono che i giovani non hanno voglia di lavorare, ma quello che vogliamo è non essere sfruttati”.
A cura di Natascia Grbic
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"Sono entrata in quel negozio a vent'anni, doveva essere un primo lavoretto e invece ci sono rimasta tredici anni. Tredici anni in cui non ho mai avuto un contratto, mi dicevano che costava troppo e che tanto nessuno li faceva. A maggio me ne sono andata, la titolare mi ha detto: "I contributi te li potevi anche pagare da sola se ci tenevi tanto'". Fabiana è una donna di trentatré anni, vive e lavora a Roma. Per tredici anni è stata commessa in un negozio in uno dei quartieri più rinomati della capitale: per tutto questo tempo ha lavorato in ‘nero'. Nonostante abbia chiesto varie volte che le venisse fatto un contratto, le è sempre stato risposto che non era possibile, che costava troppo. Questo nonostante il negozio avesse una vasta clientela. "Il target era molto alto e io gli incassi li vedevo", spiega Fabiana, la voce rotta dal pianto. "Sono ancora scossa per questa storia, ho lavorato anni lì dentro più di quaranta ore a settimana, sotto le feste non avevo nemmeno il giorno di riposo. Non mi sono mai lamentata, ho sempre fatto tutto quello che mi dicevano. Non meritavo questo trattamento. Dicono che i giovani non hanno voglia di lavorare, ma non è vero. È che non vogliamo essere sfruttati".

"Lavoravo dalle 9.30 del mattino alle 19.30 di sera, con un giorno di riposo la domenica. Durante le feste invece era 7/7, e mi davano qualcosa in più a fine mese. La pausa pranzo praticamente non la facevo perché in negozio eravamo due, mangiavo un tramezzino al volo e basta. Avrei dovuto lavorare 40 ore a settimana, ne lavoravo quasi 60. Prendevo 300 euro a settimana, 1200 euro al mese".

Dato che nel negozio lavorava solo Fabiana oltre la titolare, prendere malattia o ferie era visto come un problema. "Mi ha fatto andare a lavorare anche quando avevo il covid, non potevo prendere malattia: diceva di mettermi la mascherina e basta, altrimenti lei stava in difficoltà, non poteva fare una tirata da sola. Purtroppo a volte è capitato anche questo. Dopo qualche anno ho chiesto di più, volevo un contratto. Mi hanno alzato lo stipendio di poco, appena 100 euro, ma per quanto riguardava il contratto non se ne parlava. Ho molto insistito e voleva farmi al massimo un part time, e il resto fuori busta. Ho rifiutato".

Dopo tredici anni, Fabiana si è stancata di questa situazione. "Mi ha detto che non avrei mai avuto un contratto regolare, quindi ho inviato il curriculum ad altri negozi. Sono stata chiamata immediatamente, e adesso sto bene. La titolare ha provato anche a farmi sentire in colpa per questa cosa, dicendo che lei il contratto me lo aveva proposto. Le ho spiegato che non era ciò che volevo io, non volevo più stare a nero. Ha risposto: ‘I contributi te li potevi anche pagare da sola se ci tenevi tanto'. Sono stata e sto ancora malissimo per queste frasi, tredici anni sono tanti da digerire. Dicono che noi giovani non vogliamo lavorare, ma non è vero. Qui le persone volonterose non vengono valorizzate".

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