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Ritorno al futuro: riecco le mitiche cabine telefoniche a Times Square

Nella piazza più rumorosa del mondo, Times Square a New York, da oggi tornerà a rivivere lo squillo delle storiche cabine telefoniche per un’installazione artistica a cura dell’artista di origini afgane Aman Mojadidi.
A cura di Redazione Cultura
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Le cabine telefoniche della mostra "Once upon a place" di Aman Mojadidi in Times Square, a New York City
Le cabine telefoniche della mostra "Once upon a place" di Aman Mojadidi in Times Square, a New York City

Rieccole. Le mitiche cabine del telefono. Sono tre e sono tornate a Times Square, nel cuore di New York City. Non si tratta di cabine telefoniche in senso classico, però, in quanto le tre cabine installate nel cuore della Grande Mela fanno parte dell'installazione dell'artista di origine afghana Aman Mojadidi, votata al racconto dei migranti, in cui speranze e drammi delle persone in transito vengono raccontati attraverso la voce reale di migranti.

Dal Tibet alla Nigeria, dal Bangladesh al Messico passando per l'Italia: la piazza del suono per eccellenza, Times Square, da oggi tornerà ad avere un nuovo suono: lo squillo delle cabine telefoniche da cui partono sogni, paure, le voci di tutti gli esseri umani in viaggio per il mondo, che sono passati dalla Grande Mela. Per la sua installazione, Mojadid ha recuperato le cabine da LinkNYC, il programma comunale che l'anno scorso le aveva sostituite definitivamente con hot spot wi-fi. E invece l'arte le ha riprese.

La mostra si intitola "Once Upon a Place" e sarà visitabile fino al 5 settembre nella piazza crocevia del globo attraverso una grande storia orale, dove turisti e cittadini newyorchesi potranno mettersi in ascolto di 70 telefonate della durata da 2 a 15 minuti, ciascuna all'interno di quelle quattro pareti di vetro coperte da graffiti in cui Clark Kent si cambiava nei panni di Superman.

Aman Mojadidi (nato nel 1971) è un artista americano di origine afgana, noto per i suoi progetti d'arte pubblica che esplorano la politica afgana e l'identità transculturale. Il suo lavoro è stato mostrato a livello internazionale in mostre d'arte contemporanea come la dOCUMENTA e la Biennale di Kochi-Muziris.

Con la sua arte, Mojadidi sostiene di voler realizzare qualcosa che "disturba l'identità e sfida l'autorità". Per una delle sue prime installazioni di spettacolo, nel 2009, Mojadidi ha istituito un falso checkpoint a Kabul in cui si è vestito come un poliziotto afgano che realizzava azioni di corruzione.

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