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Riforma del Senato: confermata l’immunità

Nell’accordo per la riforma del Senato resta l’immunità dei parlamentari, mentre si delinea un Senato delle autonomie con competenze che tornano però allo stato centrale.
A cura di Danilo Massa
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Riforma del Senato: Maria Elena Boschi e Angela Finocchiaro (Foto LaPresse).
Riforma del Senato: Maria Elena Boschi e Angela Finocchiaro (Foto LaPresse).

Pd, Forza Italia e Lega Nord hanno trovato l'accordo per la riforma del Senato che, secondo il calendario di Renzi, arriverà il 3 luglio a Palazzo Madama per le prime votazioni. Il numero dei senatori scende a 100 (dagli attuali 320), di cui 95 saranno nominati dai consigli regionali e 5 saranno di nomina presidenziale con mandato di sette anni (e non a vita come ora). Nessuna elezione diretta, dunque. Ciò che però spunta a sorpresa dall'accordo è la difesa dell'istituto dell'immunità. In base all'art. 68 della Costituzione i senatori, senza autorizzazione della Camera stessa, non potranno essere sottoposti a intercettazioni, perquisizioni personali o domiciliari, né privati della libertà personale in assenza di flagranza o sentenza irrevocabile.

La scelta di difendere l'immunità parlamentare sarà motivo di protesta da parte del Movimento 5 Stelle, che mercoledì 25 giugno incontrerà i membri del governo per un confronto sulla legge elettorale. Nella stessa giornata di mercoledì scade il termine per la presentazione degli emendamenti, ragion per cui Beppe Grillo ha chiesto di poter anticipare di 24 ore l'incontro con il governo, perché "vogliamo discutere di tutto, anche del Senato. Ma Renzi deve sapere: o noi o Berlusconi". Un bivio che il governo ha superato da tempo, dato che, come ricorda il ministro Maria Elena Boschi, "c'è un accordo, c’è un percorso che facciamo da tempo. È giusto ascoltare tutti ma non si cambia partner all’ultimo minuto". Una strada, quella percorsa con Forza Italia, che ha portato la riforma del Senato ad avere i numeri necessari per l'approvazione.

In Senato qualche grattacapo potrebbero darlo i dissidenti del Partito Democratico, per i quali ha parlato Massimo Mucchetti preannunciando che "non molliamo". Un messaggio che arriva forte e chiaro da un altro dissidente, Vannino Chiti, che sulla riforma-minestra da mandare giù obbligatoriamente secondo Renzi, ha detto che "la mangeremo solo se è buona". Si tratta tuttavia di 14 senatori, un numero che l'asse tra governo e Fi potrebbe semplicemente rendere irrilevante in sede di voto della riforma del Senato.

La riforma del Senato, nella sua fase di accordo, vede anche la presenza rilevante della Lega Nord. Il patto, scritto da Anna Finocchiaro e Roberto Calderoli, somiglia sempre di più ad un confine su cui entrambi gli avversari vantano un avanzamento sul territorio nemico. La composizione della nuova camera – con nomina dei senatori da parte delle regioni – ricalca in effetti quella degli stati federali, ma, ha osservato Matteo Renzi, "infrastrutture, energia, commercio con l’estero, turismo tornano alla struttura centrale", portando di fatto ad una riduzione delle competenze locali. Ma la Lega, attraverso il profilo Facebook di Roberto Calderoli, rivendica in chiave "padana", il successo dell'operazione: "abbiamo trovato la quadra. Chi la dura la vince".

Il Senato potrà richiedere di esaminare una legge entro dieci giorni dall'approvazione dalla Camera ed entro trenta dovrà formulare una proposta di modifica su cui torneranno a decidere i deputati entro i successivi venti giorni. Nel caso in cui le richieste di modifiche riguardino regioni o comuni, la Camera può pronunciarsi diversamente solo con maggioranza assoluta. Il Senato avrà inoltre poteri di controllo sulle attuazioni delle leggi, della pubblica amministrazione e delle politiche pubbliche.

L'accordo per la Riforma del Senato prevede anche l'abolizione delle province, un tetto massimo per lo stipendio dei consiglieri regionali (che non potranno guadagnare più dei sindaci), una corsia preferenziale, su richiesta del governo, per l'approvazione entro sessanta giorni dei ddl e il divieto di inserire emendamenti estranei al contenuto di un decreto in fase di esame.

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