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Razzismo e fascisti: perché è così difficile chiamare le cose con il loro nome?

Quella che diversa stampa locale ha inizialmente e sbrigativamente catalogato come “rissa”, in realtà può essere definita solo in un modo: è un’aggressione razzista e fascista. Eppure l’assassino continua a essere descritto “ultras”.
A cura di Claudia Torrisi
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Ieri Emmanuel Chidi Namdi, nigeriano di trentasei anni, è morto a Fermo dopo ore di coma, massacrato di botte da un trentottenne marchigiano, Amedeo Mancini. La dinamica di quanto è successo, per lo meno nelle sue linee essenziali, sembra essere questa: martedì sera Emmanuel stava camminando per strada insieme alla moglie, Chimiary, quando ha incontrato Mancini (e probabilmente un'altra persona) che ha iniziato a insultare la donna chiamandola "scimmia". Emmanuel ha provato a difendere la moglie, l'altro l'ha ucciso di botte.

Quella che diversa stampa locale ha inizialmente e sbrigativamente catalogato come "rissa", in realtà può essere chiamata solo in un modo: è un'aggressione razzista. Sembrerebbe essere una cosa lampante, ma non è così. Quando già don Vinicio Albanesi, che aveva accolto Emmanuel e la moglie nella sua comunità, parlava di "piccoli gruppi di persone che si sentono di appartenere evidentemente alla razza ariana", nell'opinione pubblica, sui giornali e su internet si faticava immensamente a chiamare le cose con il loro nome. Eppure i fatti sono semplici, non ci sarebbe da sprecare pagine e pagine di inchiostro. Il titolo più onesto per la vicenda di Fermo potrebbe essere questo: "Aggressione razzista a Fermo, fascista italiano massacra di botte nigeriano". E non dovrebbe essere neanche una cosa che dovrebbe stupirci più di tanto. Basta fare una serie di operazioni.

La prima, preliminare, è sgomberare il campo dalla parola "reagire" che ha campeggiato in titoli e articoli di diversi siti e giornali. In quella cautela che accompagna gli episodi di violenza dove gli italiani sono carnefici e gli stranieri le vittime, il fatto che Emmanuel avrebbe "reagito" per difendere la moglie dagli insulti potrebbe avergli conferito una qualche responsabilità in quello che è successo. Per citare l'esempio probabilmente peggiore, Il Giornale scrive che "la reazione che gli è stata fatale: l'ultrà lo ha massacrato di botte, uccidendolo". La qualsivoglia "reazione" di Emmanuel non ha avuto alcun peso in quello che è successo: chi si è rivolto a Chimiary chiamandola "scimmia" si sentiva in totale dirritto di poterlo fare, qualunque fosse stata la risposta ricevuta dall'altra parte. Nella peggiore delle ipotesi l'avrebbe picchiato, in virtù di una presunta superiorità.

Posto questo, c'è un secondo passaggio: chiamare le cose con il loro nome. Fino al momento in cui sto scrivendo, giornali di ogni sorta hanno parlato dell'aggressore di Emmanuel come di un "ultrà". Con ogni probabilità, Mancini fa effettivamente parte del gruppo di tifosi della Fermana, ma in che modo questo qualifica la sua azione?

In alcune testate che si utilizzava addirittura la parola "teppista" – mentre l'odierno editoriale su La Stampa di Massimo Gramellini derubricava tutto a "razzista di paese". Scavando neanche troppo emerge che Mancini era "conosciuto come estremista di destra", qualcuno anche dice "legato a doppio filo". "Questo signore purtroppo lo conosciamo bene. Chiama ‘scimmia' tutti gli africani e non è nuovo alle risse", ha dichiarato don Albanesi. Mi sembra che questo qualifichi in maniera più precisa ciò che ha diretto le azioni di questo trentottenne marchigiano. L'utilizzo e il continuo riferimento all'essere ultras, invece, non mi pare altro che un'operazione di rimozione. Diamo un nome alle cose: toccherà ammettere che i fascisti esistono e uccidono, ancora.

La terza operazione da fare è aggiungere la parola "razzista". Non esistono molti altri aggettivi per catalogare l'aggressione subita dalla coppia nigeriana. Cosa è del resto definire "scimmia", animale, una persona in ragione della sua provenienza geografica? Tra l'altro "scimmia" non rientra neanche tra i più originali insulti del campionario razzista. Solo nell'ultimo periodo abbiamo collezionato: "Versi da scimmia contro un giocatore senegalese" in Puglia e lo stesso epiteto usato anche per altri calciatori – tra cui il più famoso caso riguarda Balotelli; "Brutta scimmia, torna nel tuo paese. Ti mando all’ospedale" a una ragazza diciottenne sull'autobus; e chissà quanti episodi, a volte anche a due passi da casa. Senza andare troppo lontano si può tornare all'estate di tre anni fa, nelle aule del parlamento italiano, quando Roberto Calderoli si rivolse all'allora ministro Cécile Kyenge chiamandola "orango". Quest'ultimo, tra l'altro, è anche un ottimo esempio di quanto poco contino questi episodi in questo paese, visto che per il Senato "non c'è stata discriminazione razziale". L'insulto "scimmia", tra l'altro, è così poco originale che lo ritroviamo addirittura in un saggio del 1925: "Di quando in quanto i giornali illustrati mettono sotto gli occhi del piccolo borghese tedesco una notizia: qua o là, per la prima volta, un Negro è diventato avvocato, professore o pastore o alcunché di simile. Mentre la sciocca borghesia prende notizia con stupore d'un così prodigioso addestramento (…) il nostro decadente mondo borghese non sospetta che qui in verità si commette un peccato contro la ragione; che è una colpevole follia quella di ammaestrare una mezza scimmia". Per chi volesse leggere il resto, basta procurarsi il Mein Kampf di Adolf Hitler.

Infine, va aggiunto un ultimo elemento: il contesto. Ciò che è successo a Emmanuel non è un episodio isolato – seppur più terribile di altri nella sua assurdità. A fine maggio a Parma un tunisino di trentaquattro anni è stato massacrato da un vero "squadrone della morte" capeggiato da due italiani probabilmente perché non pagava l'affitto. Questo caso non ha fatto troppo scalpore, relegato più che altro nella cronaca locale della provincia. In Italia – e in Europa – trovano casa messaggi pericolosi e suscettibili di creare e aizzare mostri, coperti da un alone di impunità che gli dà l'essere "a difesa" di qualcosa: della nazione, degli italiani, del lavoro, della famiglia. Così per qualcuno diventa legittimo agire. Negarlo è come chiamare rissa una vile aggressione fascista.

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