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Quattro metafore del potere che non sapevi di usare a casaccio

Le metafore sono figure retoriche gagliarde, eppure sbagliarle è facile. Soprattutto se non si tratta di luoghi comuni arcinoti. «Come, si possono toppare le metafore?» si domanderà qualcuno. Certo che sì.
A cura di Giorgio Moretti
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Voglio mostrarmi acculturato. Piazzo qualche metafora ricercata nel discorso: colpo sicuro, distendo le gambe e mi metto le mani dietro la testa. Ignaro di un esito che può essere miserabile.

Se cito un oggetto applicando i suoi caratteri più evidenti e noti a un altro oggetto, sto facendo una metafora. Se però i caratteri non calzano, ecco che la metafora è sbagliata. Quindi, se mi dici che sono una foca capisco che mi dai del goffo: se intendevi farmi un complimento per la mia furbizia hai sbagliato metafora. Ovviamente questo è un errore grossolano: ma più l’oggetto è difficile da afferrare nei suoi caratteri principali, più è probabile che la metafora fallisca.

Ora, politici e giornalisti ronzano sempre in cerca di qualche figura di potere esotica o magnetica da usare come metafora (o antonomasia) per i potenti dei giorni nostri, sicuri del risultato dotto e sagace dell’accostamento. Ma se non si tratta di figure nostrane – che loro e i lettori/ascoltatori conoscono bene – è facile che le loro metafore 1) non siano capite 2) siano poco calzanti o addirittura sbagliate.
Se sentiamo qualcuno parlare di un barone universitario tutti capiamo che cosa intende: titolo nobiliare, quindi investitura feudale, quindi abuso del proprio potere e critica caustica – et voilà, fare scorrere acqua fredda sulla bruciatura. Ma se si sente (o vuole) parlare di un boiardo, di un cacicco, di un mandarino o di un ras? Il terreno della metafora si fa viscido. Vediamo di rifarci le suole.

Boiardo

Metafora raffinata – e caspita se è utile. Quando oggi si parla di ‘boiardo', l'immagine che si vuole rendere è quella dell'amministratore pubblico ricco e potente, del dirigente autocratico posto al vertice di organismi elefantiaci. Una figura fin troppo consueta, che ci fa compagnia nelle pagine di tutti i giornali, e che i più colti non mancano di richiamare con questo nome.

Be', ‘boiardo', nell'ultimo millennio, è stato il nome di una variegata compagine di nobili slavi, e non si può dire che sia una figura singola e coerente. Nel X secolo in Bulgaria i boiardi erano aristocratici, nella Russia del XIV secolo erano alti funzionari, nella Romania del XIX latifondisti con una forte rappresentanza politica. Nell'uso attuale resta una suggestione sintetica, fondata in particolar modo sui famosi boiardi della Russia zarista.

Cacicco

Questa è una metafora in voga: per cacicco si intende il singolo che accentra su di sé ed esercita da solo un forte potere locale – che se ne infischia del panorama nazionale, e che anzi può pesarvi sopra. Per esempio, si attaglia benone a certi sindaci e presidenti di Regione.

America precolombiana. Presso i Taino – etnia delle Antille, distaccatasi dagli Arawak sudamericani – gli Spagnoli conobbero per la prima volta i ‘cacicchi', capi tribù di grande potere. E con alcune varianti li ritrovarono anche in Sud America: ben presto questo nome prese piede sotto l'intero dominio spagnolo in America, descrivendo alla buona quel tipo di capo carismatico che controllava politicamente una certa zona. Importato in Spagna, questo nome fu applicato al latifondista, al potente proprietario terriero: l'uso che si fa di questa parola lo mutuiamo proprio da quello spagnolo.
«A me il cacicco ricorda un feudatario» potrà dire qualcuno. Ma no. L'organizzazione feudale trova il suo baricentro nel feudo. Il potere del cacicco è personale, magnetico, e non si appoggia ad alcuna struttura.

Ras

Saltiamo nell'Etiopia feudale. Il sovrano era il negus, i suoi feudatari erano i ras. Ora, dell'Etiopia gli Italiani hanno sempre capito poco e male. Quindi quella che in sostanza era una figura paragonabile a quella di un duca (governatore di una provincia e alto capo militare) è passata a indicare una piccola autorità locale dispotica e meschina – addirittura, un capo della malavita. Fascismi e controfascismi l'hanno distorta.

L'Etiopia, quando gli Italiani decisero di farne una loro colonia, era uno stato già sulla via del progresso, stabile, membro della Società delle Nazioni. Questo uso metaforico del termine ras è semplicemente sbagliato. L'unico uso metaforico plausibile dovrebbe far leva sul suo inquadramento feudale – ma a quel punto è meglio usare delle figure feudali nostrane, più note. Non si deve ricercare l'esotismo a tutti i costi.

Mandarino

Qui dire che di solito la metafora è presa per i capelli è una lusinga.
I mandarini furono una classe di funzionari-letterati che amministrò la Cina dall'inizio del III secolo d.C fino all'inizio del XX. Quando si vuole usare il loro nome come metafora, l'intento è spesso quello di significare qualcosa di simile a ‘boiardo' – ma è un intento miope. I mandarini furono ben altro.

La loro fu una classe di alti letterati, il più delle volte scelti per concorso, con grandi garanzie (formali) sulla correttezza del procedimento e sull'imparzialità del giudizio. Le prove che dovevano sostenere erano essenzialmente sulla letteratura confuciana – il che doveva essere una garanzia ulteriore sulla loro specchiata moralità. Si capisce subito che se si vuole usare il mandarino come metafora per indicare una figura di potere saranno i caratteri positivi di sapienza e moralità o quelli negativi di capziosità e formalità a rilevare.

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Nato nel 1989, fiorentino. Giurista e scrittore gioviale. Co-fondatore del sito “Una parola al giorno”, dal 2010 faccio divulgazione linguistica online. Con Edoardo Lombardi Vallauri ho pubblicato il libro “Parole di giornata” (Il Mulino, 2015).
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