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Processo Eternit bis, i legali del patron Schmidheiny: “Violati i diritti umani”

Nel palazzo di giustizia di Torino è cominciata l’udienza preliminare. L’unico imputato è il magnate Stephan Schmidheiny, stavolta accusato di omicidio volontario per la morte di 258 persone esposte all’amianto. Rischia l’ergastolo, ma i suoi legali promettono una battaglia durissima.
A cura di Biagio Chiariello
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Il caso Eternit è tornato oggi in tribunale, a Torino. La procura contesta al magnate svizzero Stephan Schmidheiny l'omicidio volontario in relazione a 258 morti per malattie e decessi che si presume legati all'amianto nelle aree dei quattro stabilimenti italiani. Schmidheiny rischia l’ergastolo, ma per i suoi legali il processo nel quale è implicato “viola i diritti umani”. L’accusa di omicidio volontario viene definita ”assurda” dall’entourage dell'imprenditore. E la procura del capoluogo piemontese, nel promuoverla, starebbe “ignorando doppiamente il principio ‘ne bis in idem’”, ossia il principio secondo il quale non si può essere processati due volte per lo stesso reato.

Processo Eternit, Cassazione aveva annullato condanna

Schmidheiny era stato condannato a 18 anni di carcere dalla Corte d’Appello di Torino per il disastro ambientale provocato dall’amianto dell’Eternit, ma successivamente prosciolto in via definitiva per intervenuta prescrizione del reato. Su questo punto si basa la difesa di Schmidheiny nell'ambito del processo per omicidio volontario.  “La nuova iniziativa penale contro Stephan Schmidheiny – dicono i suoi avvocati – indica che in Piemonte è corso una caccia alle streghe suscettibile di essere strumentalizzata in chiave politica". Tuttavia "a dispetto della nuova azione penale il programma umanitario di Schmidheiny in corso dal 2008 a favore delle effettive vittime della catastrofe dell'amianto sarà ulteriormente protratto".

Accusa di omicidio volontario

Ma secondo l’accusa, rappresentata dai pm Raffaele Guariniello e Gianfranco Colace, l'imprenditore svizzero fece poco o nulla per modificare le "enormemente nocive condizioni di polverosità" presenti nei suoi quattro stabilimenti. E che inoltre la sua "politica aziendale" per "mero fine di lucro" causò una "immane esposizione ad amianto di lavoratori e cittadini". La difesa dal canto suo ha spiegato che "già nel corso del primo procedimento è stato dimostrato che le accuse della procura sono prive di fondamento. "Schmidheiny non è un assassino – prosegue – e in qualità di pioniere dell'abbandono dell'amianto, grazie alla sua responsabile gestione industriale, ha preservato dai pericoli migliaia di persone".

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