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Tutto quello che non torna nelle nuove regole contro le Ong: intervista al vicepresidente di Emergency

In un’intervista a Fanpage.it Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency, spiega perché l’ong continuerà a effettuare soccorsi nel Mediterraneo, nonostante il nuovo decreto del governo.
A cura di Annalisa Cangemi
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Il testo definitivo del decreto contro le Ong, che è stato approvato il 28 dicembre in Consiglio dei ministri, non è ancora disponibile, ma dalle bozze che sono circolate è evidente l'intento di ostacolare il più possibile il lavoro delle navi da soccorso che salvano i migranti nel Mediterraneo centrale.

Proprio ieri Emergency, che ha da poco messo in mare una propria nave, la Life Support, che dovrebbe tornare operativa per una nuova missione il prossimo 10 gennaio, ha fatto sapere che rispetterà il nuovo codice di condotta solo se questo non entrerà in contrasto con le leggi internazionali che impongono e regolano il soccorso in mare. Il decreto Sicurezza votato dal Consiglio dei ministri "riduce drasticamente le possibilità di salvare vite in mare, limitando l'operatività delle navi umanitarie e moltiplicando i costi dei soccorsi per tutte le Ong in mare", ha detto l'organizzazione, commentando le disposizioni contenute nel provvedimento.

Le nuove norme prevedono multe fino a 50mila euro, fermo amministrativo della nave per due mesi fino alla confisca, per le Ong che non rispettano le prescrizioni, con sanzioni che si applicano al comandante della nave e in solido all'armatore e al proprietario. Subito dopo il soccorso, si specifica, deve essere fatta immediata segnalazione alla Capitaneria di porto con richiesta di un porto sicuro per lo sbarco. Nel momento in cui quest'ultimo viene assegnato dalle autorità, la nave dovrà raggiungerlo "senza ritardo per il completamento dell'intervento di soccorso". Tradotto: le navi delle Ong non potranno effettuare più salvataggi in mare prima di raggiungere il porto assegnato.
Inoltre i migranti dovranno essere informati subito da parte degli operatori delle organizzazioni umanitarie della possibilità di attivare la procedura di protezione internazionale direttamente a bordo. Queste in sintesi le principali regole del nuovo Codice di condotta.

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Chiaramente sanzioni così alte possono fungere da deterrente per le navi da soccorso. "Certo che multe fino a 50mila euro sono una somma importante per una Ong, che va avanti con i fondi dei donatori. Non abbiamo soldi nostri con i quali possiamo agire come vogliamo. È sicuramente un deterrente per noi, come lo è anche l'assegnazione di un porto sicuro lontano, che comporta un aggravio di costi", ha detto a Fanpage.it Alessandro Bertani, vicepresidente di Emergency.

"Se si salvano delle persone in mare la prima cosa da fare è portarle al sicuro nel più breve tempo possibile. Le Ong hanno sempre agito in coordinamento con le autorità degli Stati marittimi coinvolti nelle aree di intervento, hanno sempre segnalato la loro presenza, chiesto di intervenire, comunicato l'intervento e poi hanno sempre chiesto l'assegnazione del porto sicuro. Il buon senso, prima ancora che le norme nazionali e internazionali, ci dice che deve essere assegnato un porto sicuro, il più vicino possibile".

"I naufraghi salvati devono essere portati nel più breve tempo possibile nel primo posto più vicino possibile, affinché vengano messi in sicurezza. Se viene assegnato un porto lontano, come conseguenza logica i naufraghi salvati vengono esposti a un viaggio più lungo, che comporta per queste persone dei rischi ulteriori. L'Italia è un Paese con centinaia di costi e chilometri di costa. Obbligandoci a navigare verso un porto lontano si mettono a repentaglio i naufraghi che abbiamo a bordo". 

Eppure proprio oggi il vicepremier Matteo Salvini è tornato sulla questione, senza fornire spiegazioni chiare, alludendo a un eventuale sovraccarico dei porti siciliani: "Non si vede perché" i migranti soccorsi in mare "debbano andare sempre, solo e soltanto tutti in Sicilia", ha detto stamattina il vicepremier, rispondendo alla domanda di un giornalista sull'arrivo a Ravenna della nave Ocean Viking.

Le nuove norme prescriverebbero alle Ong di effettuare un solo salvataggio, e poi dirigersi verso il porto sicuro assegnato, senza ulteriori deviazioni, anche nel caso in cui venissero a sapere di altre barche in distress. Ma per le leggi del mare, se una nave si imbatte in un'altra barca che richiede un intervento di soccorso "non si può esimere dal farlo, perché il comandante ha l'obbligo di intervenire", ha sottolineato Bertani a Fanpage.it, "se non lo facesse dovrebbe rispondere di omissione di soccorso. Nessuno può impedire a un comandante di una nave, che abbia già dei migranti a bordo, di effettuare un nuovo soccorso mentre sta tornando in porto, se viene a sapere di una barca in difficoltà e nessuno interviene al suo posto". Una nave Ong potrebbe evitare di intervenire solo se le autorità comunicassero di aver preso in carico l'operazione.

Ma se da una parte il governo chiede alle navi umanitarie di raggiungere il porto di sbarco indicato dalle autorità senza ritardi, dall'altra assegna porti lontani, che allungano la navigazione: "Se il principio è che nessuno debba far fare il ‘turista' ai naufraghi, portandoli in giro nel Mediterraneo, allo stesso tempo non possono chiedere di farci fare la crociera fino a Livorno o fino a Ravenna. È un controsenso", ha sottolineato ancora Bertani.

Nella bozza viene specificato che il personale a bordo delle navi Ong avrà l'obbligo di raccogliere tempestivamente le eventuali intenzioni di richiedere la protezione internazionale. Una prassi che però non è consentita dalla legge. "Se tutto questo fosse confermato – ha detto Bertani – sarebbe illecito, perché le convenzioni internazionali prevedono che non possa svolgere quest'attività un comandante di una nave privata, non è il suo compito. Tanto più non può farlo se la nave batte bandiera straniera. Se la nave batte bandiera italiana il governo potrebbe anche pensare di imporre questa procedura a un capitano italiano, ma non può imporre a un capitano battente bandiera straniera un obbligo del genere, perché vorrebbe dire estendere la giurisdizione oltre i confini italiani. Ma in ogni caso le convenzioni internazionali dicono che questo tipo di attività deve essere effettuata per esempio a bordo delle navi della Guardia costiera, ma non può essere imposta ai comandanti delle navi private. Il governo pensa di estendere quest'obbligo anche ai comandanti dei mercantili? Sarebbe una follia".

In un altro passaggio della bozza si parla poi di sanzioni dalle 2mila alle 10mila euro al comandante e all'armatore della nave che "non forniscono le informazioni richieste dalla competente autorità nazionale per la ricerca e il soccorso in mare o non si uniformano alle indicazioni della medesima autorità". Un'indicazione questa che presuppone il fatto che normalmente le Ong non forniscano tutti i dettagli sulle operazioni di soccorso effettuate in mare.

"Non si capisce di quali informazioni parlino – ha commentato il vicepresidente di Emergency – Se intendono che Ong hanno l'obbligo di condividere le informazioni che riguardano le attività di soccorso, questo già avviene, vengono date le coordinate prima dell'intervento stesso. Quando riceviamo una segnalazione chiediamo l'autorizzazione prima di muoverci, e per fortuna da due settimane a questa parte pare che abbiano iniziato a rispondere tempestivamente. Prima le autorità marittime si prendevano molto più tempo prima di rispondere a una richiesta delle Ong. Ma già oggi una nave verrebbe bloccata se dopo un'attività di salvataggio non inviasse un rapporto che descrive dettagliatamente l'intervento, compreso l'orario e tutte le informazioni sanitarie che riguardano le persone".

Il ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, nell'anticipare il decreto, aveva spiegato così la ratio: "Come Paesi che partecipano alla vita democratica, avremmo l'ambizione che in ogni ambito, quindi anche nel salvataggio di persone in mare, debba provvedere lo Stato, non c'è bisogno ci siano le organizzazioni non governative". Il punto però è che a questa stretta non corrisponde un maggiore dispiegamento di forze da parte dell'Italia, e in ogni caso in acque internazionali, se non ci fossero le Ong, non interverrebbe nessuno.

"Le Ong sono lì per dare una mano – ha ricordato il vicepresidente di Emergency – a completamento di un intervento che dovrebbe essere fatto dagli Stati e che non è stato fatto dagli Stati. Anche perché l'Italia svolge attività di salvataggio prevalentemente nelle proprie acque territoriali. Ribaltiamo il ragionamento: non volete le Ong perché volete occuparvene solo voi? Benissimo, saremmo felici di saperlo".

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