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Spostamenti tra Regioni, Gimbe: “Lombardia, Liguria e Piemonte non sono pronte”

La fondazione Gimbe fa il punto sul via libera che il governo si prepara a dare in merito agli spostamenti tra Regioni, sottolineando come in alcuni territori l’epidemia di coronavirus non sia ancora sotto controllo. “In questa difficile decisione occorre accantonare ogni forma di egoismo regionalistico perché la riapertura della mobilità deve avvenire con un livello di rischio accettabile e in piena sintonia tra le Regioni”, commenta il presidente del think tank, Nino Cartabellotta.
A cura di Annalisa Girardi
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La data del 3 giugno, in cui il governo dovrebbe dare il via libera anche agli spostamenti tra Regioni, è sempre più vicina. Ma in alcuni territori i dati sull'epidemia di coronavirus impongono cautela. Tra i governatori sono già scoppiate le polemiche, dopo che il presidente della Sardegna, Christian Solinas, ha annunciato che avrebbe richiesto un patentino di immunità ai turisti lombardi in vacanza nell'isola. Ad ogni modo, in queste ore le Regioni dovrebbero inviare al ministero della Salute i dati sull'andamento dei contagi dalle ultime riaperture: poi il ministro Roberto Speranza e il governo saranno chiamati a prendere una decisione sulla riapertura. Lombardia, Piemonte e Liguria non sono pronte però pronte, sostiene la fondazione Gimbe. Il think tank, che si occupa di ricerca in ambito sanitario, sottolinea come in queste tre Regioni i contagi siano ancora elevati: inoltre, affermano gli esperti, i dati al momento riflettono i risultati di una prima riapertura lo scorso 4 maggio, ma non si vedono ancora le conseguenze di quella più ampia di dieci giorni fa.

I governatori del Sud, che non è stato colpito dall'epidemia con la stessa forze delle Regioni settentrionali, chiedono la massima prudenza, temendo che con la libera circolazione dei cittadini su tutto il territorio nazionale porti l'infezione anche nel Meridione. La scelta in merito alle riaperture del 3 giugno, afferma Gimbe, deve essere guidata certamente dai dati, ma anche da un principio di solidarietà tra le Regioni che tenga conto delle differenze nell'evoluzione dell'epidemia sul territorio.

Troppi pochi tamponi diagnostici

I dati nazionali confermano in generale un ulteriore calo di contagi e una conseguente riduzione del carico sugli ospedali e in particolare sulle terapie intensive. Secondo il monitoraggio indipendente dalla fondazione Gimbe questa settimana (dal 21 al 27 maggio) si sono registrati in totale 3.375 nuovi casi e 742 decessi. Nelle strutture ospedaliere si sono liberati 1.895 posti letto, di cui 171 in terapia intensiva. Il think tank sottolinea però come non sia possibile basare una strategia per la riapertura solamente su questi fattori, ma è necessario considerare altri elementi sui quali al momento sussistono evidenti difficoltà. Come le notevoli differenze tra le Regioni per quanto riguarda l'esecuzione dei tamponi o la limitata affidabilità dell'indice Rt. Gimbe ha quindi condotto una propria analisi sulla Fase 2, tenendo conto di due indicatori specifici parametrati alla popolazione residente, cioè l'incidenza di nuovi casi e il numero di tamponi diagnostici effettuati (escludendo quindi quelli eseguiti per confermare la guarigione). Vediamo cosa è emerso.

Analizzando il numeri in merito ai tamponi diagnostici positivi, la fondazione sottolinea come cinque Regioni rimangano al di sopra della media nazionale (2,4%). Queste sono Lombardia (6%), Liguria (5,8%), Piemonte (3,8%), Puglia (3,7%) ed Emilia Romagna (2,7%). Comunque, il numero di tamponi diagnostici per 100 mila abitanti rimane contenuto anche in queste Regioni. Se la media nazionale è di 1.343, nettamente al di sopra ci sono solamente la Valle d'Aosta (4.076) e la Provincia Autonoma di Trento (4.038) mentre in Piemonte (1.675) e in Lombardia (1.608) si attesta appena al di sopra. In Liguria (1.319) è addirittura inferiore.

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Le Regioni in cui i contagi sono ancora elevati

Alla luce di questi elementi si può quindi calcolare anche l'incidenza dei nuovi casi ogni 100 mila abitanti. La media nazionale al momento è a 32. In Lombardia questa è nettamente più elevata, crescendo di circa tre volte il dato nazionale: è infatti registrata a 96. In Liguria questa è a 76 e in Piemonte a 63. Anche il Molise presenta un dato elevato, 44, ma questo desta meno preoccupazioni in quanto è legato a un focolaio che è già stato identificato e circoscritto. L'Emilia Romagna, con 33, si posiziona appena sopra la media nazionale: il dato potrebbe però essere sottostimato in quanto il numero di tamponi diagnostici è ben al di sotto della media nazionale.

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Gimbe sottolinea comunque come questi dati siano il diretto risultato di una prima riapertura lo scorso 4 maggio, ma che non comunicano ancora gli effetti del termine del lockdown del 18 maggio. Questi potrebbero iniziare a vedersi nelle prime due settimane di giugno. Sono passati 23 giorni da quando il governo ha iniziato ad allentare le misure contenitive, e l'analisi della fondazione sottolinea come in Lombardia, Liguria e Piemonte, l'epidemia di coronavirus non sia affatto sotto controllo.

Cartabellotta:

"Il governo a seguito delle valutazioni del Comitato Tecnico-Scientifico si troverà di fronte a tre possibili scenari: il primo, più rischioso, di riaprire la mobilità su tutto il territorio nazionale, accettando l’eventuale decisione delle Regioni del sud di attivare la quarantena per chi arriva da aree a maggior contagio; il secondo, un ragionevole compromesso, di mantenere le limitazioni solo nelle 3 Regioni più a rischio, con l’opzione di consentire la mobilità tra di esse; il terzo, più prudente, di prolungare il blocco totale della mobilità interregionale, fatte salve le debite eccezioni attualmente in vigore", commenta il presidente della fondazione, Nino Cartabellotta. Aggiungendo come sia necessaria una piena sintonia tra le Regioni nel momento della riapertura: "In questa difficile decisione occorre accantonare ogni forma di egoismo regionalistico perché la riapertura della mobilità deve avvenire con un livello di rischio accettabile e in piena sintonia tra le Regioni. Una decisione sotto il segno dell’unità nazionale darebbe al Paese un segnale molto più rassicurante di una riapertura differenziata, guidata più da inevitabili compromessi politici che dalla solidarietà tra le Regioni, oggi più che mai necessaria per superare l’inaccettabile frammentazione del diritto costituzionale alla tutela della salute"

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