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“Premierato può dare stabilità, ma Meloni deve ascoltare le opposizioni”: analisi del costituzionalista

Il costituzionalista Alfonso Celotto, intervistato da Fanpage.it, ha delineato i pro e i contro delle riforme istituzionali che il governo Meloni cerca di portare avanti. Il premierato può essere una soluzione, ma tutte le modifiche devono essere condivise: “Riformare la Costituzione non è cosa della maggioranza”.
A cura di Luca Pons
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Il governo Meloni, dopo un periodo di contestazioni legato alle politiche sui migranti e al recente decreto sul lavoro approvato il primo maggio, ha lanciato un altro dei suoi cavalli di battaglia: la riforma della Costituzione. Negli scorsi giorni Giorgia Meloni ha incontrato i rappresentanti delle opposizioni, e ne è emerso un quadro piuttosto diviso. La Lega preferirebbe l'elezione diretta del presidente della Repubblica, M5s e Pd chiedono invece un modello simile a quello del cancellierato tedesco.

La presidente del Consiglio ha detto che ci sono state delle "timide aperture" in particolare sul premierato, cioè l'elezione diretta del capo del governo. Il costituzionalista Alfonso Celotto, rispondendo alle domande di Fanpage.it, ha spiegato meglio cosa significa, quali sono i benefici e quali i rischi.

Professore, l'elezione diretta del capo del governo non c'è in nessun Paese del mondo. Perché?

Ogni Paese ha la sua forma di governo. Uno può ispirarsi a Stati Uniti, Germania, Francia, Spagna…ma poi deve trovare il suo bilanciamento, per il suo contesto storico, politico, culturale e sociale. L'Italia in questi settant'anni di repubblica democratica ha maturato dei punti fermi da cui partire.

Quali?

Il grande valore che ha assunto la presidenza della Repubblica come organo di bilanciamento, e quindi la necessità di avere un sistema duale: il Quirinale come garante, e un primo ministro che possa governare di più. Il fatto che l'elezione diretta del capo del governo non esista negli altri principali Paesi del mondo non è un ostacolo.

È la soluzione migliore?

Oggi, è una soluzione possibile. Resta il fatto che per fare le riforme devi avere un'ampia condivisione delle forze politiche, perché riformare la Costituzione non è una cosa della maggioranza. E le soluzioni devono essere tecnicamente plausibili.

Il premierato lo è, per l'Italia?

Può essere un sistema per adattare al nostro sistema costituzionale una maggiore investitura di quello che diventerebbe il primo ministro. Se ci pensiamo, già con il Mattarellum si andava a votare sapendo il presidente del Consiglio: c'erano i nomi di Prodi e Berlusconi sulla scheda. Quindi c'era una sorta di ‘designazione', ma il sistema era parlamentare. Così, quando cadde il primo governo Berlusconi, in quel modello non si tornò a votare ma si andò avanti con un altro governo, in quel caso Dini.

Bisognerebbe modificare molti aspetti diversi per avere una riforma coerente?

Per creare un sistema di premierato, alla ‘sindaco d'Italia', dovresti cambiare due o tre articoli della Costituzione. L'articolo 92 sul potere di scelta dei ministri, che andrebbe al primo ministro. L'articolo 94, sulla fiducia. E dovresti anche cambiare, o almeno ragionare, sull'articolo 88, per capire se il potere di scioglimento delle Camere resta in mano al presidente della Repubblica o deve essere in qualche modo condiviso con il primo ministro.

Servirebbe anche una legge elettorale diversa?

Sì, una legge che faccia vincere uno solo. Tipo sindaco, tipo presidente di Regione. Non puoi fare una legge elettorale in cui due o tre partiti arrivano quasi pari.

Per il presidenzialismo, cioè l'elezione diretta del presidente della Repubblica, quanto bisognerebbe cambiare invece?

Lì si parla di 10-15 articoli della Costituzione. Dovresti creare tutto un sistema di pesi e contrappesi molto articolato. Per esempio: il presidente ‘all'americana' presiede anche il Consiglio superiore della magistratura, come fa oggi il presidente Mattarella? Nomina i giudici costituzionali? Bisogna ragionare su questi aspetti.

Una riforma con elezione diretta porterebbe davvero più stabilità, come promette il governo?

In un senso, sì: se cade il presidente dovresti tornare a votare, come accade oggi nelle Regioni, mentre in tutti gli altri casi il governo andrebbe avanti. Cioè, non cade il governo perché un partito si sfila dall'alleanza, come avvenuto con la Lega nel primo governo Conte. No, perché alle elezioni hai eletto Conte e quindi devi andare avanti con lui o nulla. Si torna al voto, quindi è un incentivo per le forze politiche a restare unite. In questo senso, il governo è più stabile.

E cosa si sacrifica con un sistema simile?

Togli un po' di poteri ai partiti in coalizione, e al Parlamento. Che però devi bilanciare. Una cosa è certa: in Italia, con i famosi 69 governi in 75 anni, non abbiamo governi che decidono. Perché se il governo dura un annetto, un attimo tiene, un attimo si gira e va in crisi… il Ponte sullo Stretto non lo fai anche per questa ragione. Perché duri troppo poco.

Con il premierato si "svilisce" il ruolo del presidente della Repubblica, come detto dalle opposizioni?

Si attenua. È ovvio, perché si ragiona di prendere alcune sue prerogative, come la nomina dei ministri e lo scioglimento delle Camere, e assegnarle al primo ministro. Va detto che, invece, in un sistema di presidenzialismo si cancella proprio il presidente della Repubblica per come lo intendiamo adesso.

E con il modello ‘alla tedesca' di cancellierato? La ministra Casellati ha detto che quello metterebbe ancora più ai margini il Quirinale.

Vero, però anche lì, il sistema tedesco è diverso, si basa su un sistema federale. I modelli diversi sono tanti. Se vuoi salvaguardare l'attuale ruolo del Quirinale, il premierato potrebbe essere la soluzione che permette di bilanciare maggiormente i poteri.

Più anche del semipresidenzialismo, alla francese?

Lì rafforzi il presidente della Repubblica, ma svilisci molto il presidente del Consiglio.

Giorgia Meloni ha detto che intende andare avanti con la riforma della Costituzione, anche se le opposizioni non sono d'accordo, perché ha un "mandato del popolo" per farlo. È così?

No, per parlare di mandato popolare nel fare una riforma ci dovrebbe essere un referendum, come fece il Cile nel 2019, per un'assemblea costituente. La riforma è importante, perché è un modo per far funzionare meglio il meccanismo, quindi è importante anche per i cittadini e per i nostri problemi, però la Costituzione va riformata con una maggioranza ampia. Ce lo insegnano i costituenti: la Costituzione fu approvata con una maggioranza dell'88% nonostante De Gasperi, Togliatti, Nenni e le loro divisioni.

Quindi andare avanti a "colpi di maggioranza", come ha detto Giuseppe Conte, non può essere una soluzione per il governo?

Ci sono gli esempi storici: Berlusconi nel 2006, Renzi nel 2016. Dimostrano che la Costituzione, a maggioranza, è difficile da modificare.

Allora come si fa? Una commissione bicamerale, un'assemblea costituente?

L'assemblea costituente potrebbe essere un tentativo, l'Italia non l'ha mai fatta. Chiaramente avrebbe tutta una serie di problemi tecnici. Due commissioni bicamerali ci sono state: quella del 1992 era nel pieno di Mani pulite, quella del 1997 non aveva tanta benzina. La bicamerale può essere una soluzione per valorizzare il Parlamento e far decantare le posizioni politiche.

Non c'è il rischio che finisca di nuovo in un nulla di fatto?

Le soluzioni sono tre: disegno di legge governativo, commissione bicamerale, assemblea costituente. Tutte e tre hanno i loro pro e i loro contro.

E andare a maggioranza ha più contro?

Ha due problemi. Il primo è che ti porti la riforma costituzionale nel tuo programma: questa diventerebbe la ‘Costituzione Meloni', poi le prossime elezioni le vince qualcun altro e allora può cambiare anche lui la Costituzione. Ma la Costituzione non si può cambiare ogni cinque anni, deve essere superiore. Questo è il punto più importante. E poi, come già detto, se arrivi al referendum rischi seriamente di perdere. Sia perché il popolo è conservatore, sia perché ci capisce poco di tecnicalità, sia perché spesso i referendum arrivano dopo tre o quattro anni di governo, quando hai perso la luna di miele.

Adesso il governo Meloni è ancora nel suo primo anno, però.

Sì, ma questa riforma ci metterebbe due o tre anni a portarla a termine. Le riforme vanno fatte seriamente, con calma. Se sono fatte in modo frettoloso, si finisce come quella fatta nel 2001 sul Titolo quinto. Rischi che la riforma funzioni peggio di quello che c'era prima. E noi non ce lo possiamo permettere.

A proposito di Titolo quinto e Regioni, è vero che è incoerente (come detto dalle opposizioni) portare avanti da una parte una riforma presidenziale e dall'altra la riforma dell'autonomia differenziata delle Regioni, chiesta dalla Lega?

Non direi che è incoerente, ma l'autonomia differenziata è solo un pezzettino del problema delle autonomie. Anche questo, come altre riforme, ce lo portiamo dietro da trent'anni: non abbiamo capito se l'Italia voglia puntare sulle Regioni, sulle Province, o entrambe. Quindi sarebbe importante fare una riforma più complessiva. L'autonomia differenziata è un segmento, ed è un problema che sia diventata una bandiera politica di alcuni territori.

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