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Opinioni

Perché l’isolamento di Mario Draghi è il vero problema politico del Paese

La guerra in Ucraina e il completamento delle riforme necessarie per ottenere i fondi europei costringono Mario Draghi a restare a Palazzo Chigi, mentre intorno impera il caos, tra partiti in subbuglio, leadership deboli e la sensazione di non contare più nulla.
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Quando il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella conferì a Mario Draghi l’incarico di formare un nuovo governo, gli obiettivi e il percorso sembravano chiari: mettere in sicurezza la campagna vaccinale, gestire il colpo di coda della pandemia, garantire il completamento del ciclo di riforme necessario per ottenere i soldi dal Recovery Fund, stabilizzare il sistema per poi accomodarsi serenamente sulla poltrona del Quirinale per proseguire il compito con altri mezzi. Qualcosa è evidentemente andato storto, al di là delle responsabilità dirette del Presidente del Consiglio.

Allo stato attuale, il governo Draghi esiste in virtù di fattori esterni (la guerra in Ucraina, ma non solo), dell’assenza di alternative realistiche e delle difficoltà interne alla totalità delle forze che lo sostengono. Non c’è una vera maggioranza, ma un accrocchio di forze che sostengono più o meno convintamente l’unico soggetto che può garantire la prosecuzione della legislatura. E che ha come caratteristica principale l'ambiguità dei leader delle maggioranza, che lo sostengono a giorni alterni senza peraltro assumersi mai la responsabilità di investire fino in fondo nel progetto di Draghi. Non c’è un vero programma politico da attuare, bensì un’agenda da portare avanti per onorare il contratto firmato con le istituzioni europee, in modo da ottenere le risorse necessarie a sostenere il Pnrr. Persino la gestione delle emergenze ha perso non solo efficacia, ma un qualunque slancio di prospettiva: ci si limita a navigare a vista e mettere qualche toppa di tanto in tanto, tra mille caveat e distinguo di politici e decisori.

La questione Ucraina è paradigmatica, perché mostra la solitudine di Draghi nel contesto di una maggioranza impelagata in polemiche ombelicali o, peggio ancora, divisa tra posizioni ambigue o improbabili. Circondato da leader politici che non hanno alcun interesse a lavorare per rafforzare la maggioranza o che non controllano nemmeno i propri parlamentari, il Presidente del Consiglio deve ogni giorno fare i conti con la ristrettezza dei margini di manovra e l'urgenza di dare risposte concrete sul piano internazionale. Un ulteriore smacco per chi solo qualche mese fa veniva dipinto da media e politica come uno dei principali attori della scena europea. E che ora fatica a trovare appoggio persino su proposte di rilievo (il piano che Russia e Ucraina stanno valutando), se non da singoli ministri o esponenti politici.

Come detto, il problema non è capire come mai il governo non cada, quanto piuttosto come si arriverà a un autunno che si annuncia complicatissimo.

Dopo l'estate cominceranno a farsi sentire sensibilmente i costi della guerra, anche a prescindere da come si risolverà l'impasse su gas e petrolio. Il governo sarà chiamato a prendere decisioni molto difficili, che potrebbero generare tensioni sociali di non semplice risoluzione. Bisognerà gestire e approvare le riforme di contesto richieste dall'Unione Europea e non è difficile ipotizzare che Draghi continuerà a commissariare un Parlamento balcanizzato e inefficiente. Ma allo stesso tempo, non è difficile immaginare che i partiti cominceranno a reclamare più spazio, piccole concessioni in modo da placare il nervosismo dei propri elettorato. Il risultato, praticamente già scritto, sarà l'ulteriore annacquamento dell'azione di governo, che determinerà tensioni fra Draghi e i leader di partito, polemiche e penultimatum: un copione già messo in scena in più occasioni negli ultimi mesi.

In autunno assisteremo anche all'avvio della campagna elettorale per le politiche, le prime dopo il taglio dei parlamentari, il che significa meno posti e più concorrenza, ma anche maggior peso politico dei grandi portatori di voti o dei collettori di interessi. In questo contesto, l'ultima legge di bilancio del governo dei migliori rischia di essere una via di mezzo tra la resa dei conti fra i partiti della maggioranza e l'assalto alla diligenza dei peones. Non proprio quello che Draghi sognava qualche mese fa, diciamo.

Per quanto attiene la gestione della pandemia, infine, nessuno ha idea di cosa accadrà a ottobre / novembre, né in che stato ci arriveremo. Come gli altri Stati occidentali, abbiamo smesso di trattare la pandemia come un problema di salute pubblica, rinunciando di fatto a contenere il contagio da Omicron, confidando esclusivamente nei vaccini e accettando implicitamente le conseguenze in termini di morti e di casi gravi. Le nuove varianti, le reinfezioni e il calo nel tempo dell'efficacia dei vaccini sono sfide che però andrebbero affrontate con maggiore decisione, o almeno con un piano di ampio respiro, che colmi innanzitutto il ritardo sulle quarte dosi.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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