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Perché in questa crisi di governo non si salva nessuno, nemmeno Draghi

La sfiducia non sfiducia al governo Draghi è il degno epilogo di una legislatura fallimentare: una giornata in cui tutti hanno sbagliato tutto quel che potevano sbagliare, da Letta a Salvini, da Conte a Draghi. Il risultato è il fallimento della politica, in un Paese in ginocchio.
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Game over. Non ci sono altre parole per definire la pantomima a cui abbiamo assistito ieri. Con una crisi di governo scatenata da un Movimento che non ha votato la fiducia al governo, senza tuttavia nemmeno votare contro. Con un Presidente del Consiglio che si è dimesso pur avendo ancora una maggioranza parlamentare. Con una parte politica, il centrodestra, che è uscita dall’aula pur di non votare né a favore né contro al governo Draghi.

Se cercavamo un degna conclusione a una legislatura surreale, fatta di impeachment di Presidenti della Repubblica minacciati in diretta social, di ministri dell’interno che chiedono pieni poteri da una spiaggia della Versilia, da crisi di governo aperte in piena emergenza pandemica, da forze politiche in grado di non trovare uno straccio di accordo sull’elezione di un nuovo presidente della Repubblica pur governando quasi tutte assieme, salvo poi assistere senza fiatare alla ribellione dei peones parlamentari che richiamano in carica il presidente uscente in spregio a ogni grammatica istituzionale, ecco: diciamo che la degna conclusione l’abbiamo trovata.

Se tuttavia cercate un unico colpevole – o, meglio ancora, un innocente – in questo desolante epilogo, la vostra ricerca è vana.

Non è innocente il Movimento Cinque Stelle guidato da Giuseppe Conte, che questa crisi l’ha cercata sin dall’istante immediatamente successivo al crollo alle elezioni amministrative, per recuperare una verginità perduta da spendere alle prossime politiche, come se bastassero pochi mesi d’opposizione per far dimenticare quattro anni di governo in cui si è votato tutto e il contrario di tutto, alleandosi con tutti i nemici politici con cui era possibile allearsi, rinnegando ogni battaglia che era possibile rinnegare. Peraltro, arrivando a provocare una crisi senza votare contro il governo e senza far dimettere i propri ministri.

Non sono innocenti Lega e Forza Italia, il cosiddetto centrodestra “di governo”, che dopo aver tacciato i Cinque Stelle di irresponsabilità, hanno deciso di staccare la spina al governo – anche loro: senza nemmeno avere il coraggio di votare contro l’esecutivo – accampando scuse che nemmeno uno studente impreparato in terza media: che non sarebbero stati al governo se ci fossero stati ancora i Cinque Stelle e che non avrebbero votato la mozione che avrebbe mantenuto in vita il governo Draghi – così come chiesto dallo stesso presidente del Consiglio – perché proposta da Pierferdinando Casini, senatore eletto tra le fila del centrosinistra. Entrambi i partiti, peraltro, ora si ritrovano a dover raccogliere i cocci della loro decisione: la rissa tra Maria Stella Gelmini e Licia Ronzulli è l'antipasto della balcanizzazione di Forza Italia, mentre l'abbraccio di Giorgetti a Draghi mentre Salvini nemmeno applaude il discorso del premier, è la rappresentazione plastica della faglia che si è aperta nella Lega. Capolavoro.

Non è innocente nemmeno il Partito Democratico guidato da Enrico Letta, che in questa crisi ha giocato come sempre a fingersi morto. Lasciando a Matteo Renzi e Carlo Calenda, e alle loro grottesche manifestazioni di piazza coi “clochard per Draghi” il compito di dettare l’agenda tra chi era favorevole alla sopravvivenza del governo, incapace di esprimere una proposta politica che sia una, negli stessi giorni in cui Pedro Sanchez, premier spagnolo e leader del partito a loro omologo ha lanciato iniziative di governo a favore dei ceti popolari impoveriti, riuscendo nell’impresa di bruciarsi l’unica alleanza elettorale possibile per competere col centrodestra a legge elettorale vigente. Atteggiamento doppiamente colpevole, questo, per un partito che non riesce a immaginarsi se non ai banchi del governo, anche quando perde clamorosamente le elezioni.

E no, non è innocente nemmeno Mario Draghi. Che per la seconda volta in pochi mesi ha gestito malissimo la sua partita a scacchi con un Parlamento teoricamente quasi tutto a suo favore, ma da cui è riuscito a farsi detestare – ricambiando – come pochi premier nella storia repubblicana, bruciandosi le speranze di diventare Presidente della Repubblica e persino quelle di portare la legislatura a una fine ordinata. In entrambi i casi, finendo prigioniero del proprio ego e della propria permalosa arroganza – a loro volta alimentate da parti sociali e giornali servili come non mai, che ancora oggi si sperticano in elogi per il Migliore, nonostante la debacle al Senato -, incapace di accettare compromessi e mediazioni con forze politiche che, a differenza sua, sono state democraticamente elette.

Il risultato, che più bizantino non si può, è un governo sfiduciato senza essere sfiduciato, che non ha più una maggioranza anche se in teoria ce l’avrebbe ancora. Con la palla che di nuovo finisce al Quirinale, da quel Sergio Mattarella a cui di nuovo tocca l’onere di trovare un senso a questa storia, nel mezzo di una delle più gravi crisi politiche ed economiche globali del nuovo millennio, in cui l'Italia entra più debole che mai, col debito al 156% del Pil, la crescita economica in brusca frenata e lo spread stabilmente sopra quota 200. In attesa, ovviamente, che Giorgia Meloni incassi l’assegno che ha depositato in banca quattro anni fa, quando ha deciso che avrebbe vissuto questo carnevale sgranocchiando pop corn dall’opposizione. Cosa che ha fatto anche oggi, ovviamente. Godendosi lo spettacolo di un suicidio politico collettivo che ha pochi eguali. Anche in un Paese abituato a tutto.

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Francesco Cancellato è direttore responsabile del giornale online Fanpage.it e membro del board of directors dell'European Journalism Centre. Dal dicembre 2014 al settembre 2019 è stato direttore del quotidiano online Linkiesta.it. È autore di “Fattore G. Perché i tedeschi hanno ragione” (UBE, 2016), “Né sfruttati né bamboccioni. Risolvere la questione generazionale per salvare l’Italia” (Egea, 2018) e “Il Muro.15 storie dalla fine della guerra fredda” (Egea, 2019). Il suo ultimo libro è "Nel continente nero, la destra alla conquista dell'Europa" (Rizzoli, 2024).
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