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Pd come M5S: partiti che non sanno da che parte stare e sperano siano i militanti a dirglielo

L’ex segretario del Pd, Maurizio Martina, ha proposto di rimettere agli iscritti dem la scelta di stipulare o meno un nuovo contratto di governo con il M5S, a meno di una settimana da quando gli utenti Rousseau hanno sconfessato la linea di Luigi Di Maio, costringendo Beppe Grillo a scendere in campo per dire a tutti di lasciarlo in pace perché è lui il leader. Rimettere una decisione agli elettori non è una lezione di democrazia: piuttosto è la prova di un partito ai ferri corti, che non sa più quale strada prendere e per questo lascia che sia qualcun’altro a scegliere al suo posto.
A cura di Annalisa Girardi
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Non è bastato farsi mettere i bastoni fra le ruote alle prossime regionali: non solo il Partito Democratico si vede ora penalizzato dalla scelta del Movimento Cinque Stelle di correre in solitaria nel voto in Emilia Romagna e Calabria, ma prova perfino a percorrere lo stesso binario. "Il nuovo patto con Cinque Stelle e maggioranza decidiamolo anche con gli iscritti del Pd. Portiamo l'intesa di governo al referendum tra gli iscritti dem: non si tratterebbe solo di confermare ma di partecipare anche prima, elaborando e proponendo", ha affermato l'ex segretario dem, Maurizio Martina. "Alla segreteria e ai gruppi parlamentari il compito di proporre la traccia delle proposte agli iscritti sui temi da affrontare, gli iscritti stessi le potrebbero rafforzare indicando le priorità e proponendo altri impegni. E quindi, a valle dell'intesa, si potrebbero esprimere sul testo finale", ha aggiunto.

Martina sta quindi proponendo di rimettere agli iscritti la scelta di stipulare o meno un nuovo contratto di governo con il Movimento Cinque Stelle. E lo sta facendo a meno di una settimana dal momento in cui gli iscritti a Rousseau hanno sconfessato la linea del leader Luigi Di Maio, costringendo Beppe Grillo a scendere in campo per dire a tutti di lasciarlo in pace perché il capo politico è lui. Il voto degli iscritti pentastellati è stato una metaforica pedata al Movimento, la sonora richiesta di prendersi le proprie responsabilità di primo partito del Paese e un promemoria verso gli impegni e gli oneri di una forza politica nei confronti dei suoi elettori.

In quel caso, come in quello che sta avanzando Martina, rimettere una decisione agli elettori non è né una lezione di democrazia, né un segno di ampia partecipazione. Piuttosto è la prova di un partito ai ferri corti, che non sa più quale strada prendere e per questo lascia che sia qualcun altro a scegliere al suo posto. La questione di un nuovo contratto con i Cinque Stelle sta creando scompiglio nel partito proprio come quella delle elezioni regionali ha fatto nel Movimento. Ma farsi indicare quella che dovrebbe essere la scelta più giusta non tapperà le spaccature interne.

Tra i maggiori esponenti dem l'idea di un contratto non sembra avere molta popolarità. Un nuovo patto per rilanciare l'alleanza giallorossa è evidentemente necessario, ma nessuno sembra particolarmente ansioso o convinto di volerci mettere la firma. Specialmente dopo settimane di tensione fra i due alleati, dal caso Ilva, allo Ius Soli o quello del Mes. "Bene l'impegno per il rilancio dell'azione di governo da parte dei Cinque Stelle, un passo in avanti verso una direzione da noi auspicata", aveva detto Nicola Zingaretti, ben guardandosi dal pronunciare le parole "contratto di governo". Il capodelegazione del nel governo, Dario Franceschini, è stato più esplicito: "Dobbiamo ridefinire il progetto di riforme per il futuro della legislatura, ma bisogna lasciar perdere i contratti di governo, che per natura sono accordi tra controparti, garantiti da un notaio. Noi non abbiamo bisogno di firme, ma di un'intesa politica".

Non tutti però sono d'accordo all'interno del Pd: per Graziano Delrio, ad esempio, non c'è problema se di deve inserire qualche altro tema da portare avanti in comune in un contratto, anzi. Matteo Orfini invece sottolinea che è sempre stato favorevole a una formula di questo tipo e specifica che "il contratto si fa tra forze alternative" e che "quello che indebolisce Conte è voler piegare la maggioranza ad alleanza futura e il cercare sintesi come le parti fossero compatibili".

Che non fossero due forze compatibili si era capito. Ma qualcosa in comune ce l'hanno: entrambi hanno perso la bussola, non riconoscono più i punti cardinali della loro identità. Avevano capito di doversi alleare per contrastare Matteo Salvini (che dalla crisi del Papeete Beach non è comunque mai sceso sotto il 30%, mentre sia Pd che M5S continuano ad arrancare), ma di giorno in giorno appare sempre più evidente che non ci sia una strategia a lungo termine. Chiedere agli elettori di prendere una decisione per il partito sulla coalizione, perché questo non è in grado di farlo da solo e in modo unitario, sembra solo il primo step verso l'ammissione che la data di scadenza è già arrivata.

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