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Migranti, le inchieste sui centri di detenzione in Libia: i trafficanti di umani accusati dall’Aja

Si stanno tirando le somme della maxi-inchiesta che per la prima volta porterà di fronte alla Corte penale internazionale alcuni esponenti libici, vicini sia alle milizie che alle autorità di Tripoli, e coinvolti nel traffico degli esseri umani. Si tratta di figure con cui le autorità europee e italiane, negli anni, hanno avuto regolarmente a che fare.
A cura di Annalisa Girardi
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Sarebbero quasi pronti i mandati d'arresto per alcuni trafficanti di umani libici: ad anticiparlo è stato un articolo di Nello Scavo pubblicato sul quotidiano Avvenire, in cui si tirano le somme della maxi-inchiesta che, per la prima volta, porterà di fronte alla Corte penale internazionale alcuni esponenti libici, vicini sia alle milizie che alle autorità di Tripoli.

Il capo della Procura della Cpi, Fatou Bensouda, ha dichiarato che si stanno ultimando i lavori di raccoglimento delle "prove documentali, digitali e delle testimonianze relative a presunti crimini commessi nei centri di detenzione". Nel frattempo, un report sulla Libia è anche stato trasmesso al Consglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Le inchieste puntano il dito contro alcune figure con cui i governi italiani ed europei, nel corso degli anni, hanno più volte collaborato: verrebbero così rivelate le trame di negoziati e accordi che, pur di contenere i flussi migratori, hanno chiuso un occhio sulle violazioni dei diritti umani da parte di miliziani e trafficanti libici.

Le accuse della Corte dell'Aja

Le indagini convergono nel rapporto numero 18 della Procura dell'Aja e accusano sia i campi di prigionia sotto diretta gestione del Dipartimento contro l'immigrazione illegale di Tripoli, sia le prigioni non dichiarate, le quali però sono spesso ben conosciute dalle autorità libiche. "Nel 2019 oltre 4.800 rifugiati e migranti sono stati arrestati arbitrariamente in Libia. Molti sono vulnerabili a causa della loro vicinanza nelle aree di combattimento a Tripoli e dintorni. Migranti e rifugiati continuano a essere a rischio di tortura, violenza sessuale, rapimento per riscatto, estorsione, lavoro forzato, uccisioni illegali e detenzione in condizioni inumane", si legge nel rapporto.

"Il 2 luglio 2019, attacchi aerei sul centro di detenzione per migranti di Tajoura, a est di Tripoli, secondo quanto riferito hanno ucciso 53 persone e ferito altri 130, tra cui donne e bambini", ricorda la Cpi, definendo l'attacco una strage deliberata in quanto "prima di questo incidente le Nazioni Unite avevano fornito alle parti in conflitto le coordinate esatte di questo centro di detenzione" affinché non risultasse colpito dagli scontri. In seguito a quell'episodio sono state documentate varie volte le violenze delle guardie responsabili dei centri di detenzione, con testimonianza che parlano di "stupri, omicidi e atti di tortura all'ordine del giorno". Ora mancano solo i mandati d'arresto.

Le denunce a Malta

Nel frattempo, il quotidiano Times of Malta, ha rivelato una presunta intesa segreta tra le forze armate di La Valletta e quelle di Tripoli per riportare in Libia i migranti intercettati nel Mediterraneo, in modo da fermarli prima che entrino in acque territoriali maltesi. Il giornale ha mostrato le prove di un incontro tra il capo delle operazioni e dell'intelligence maltese, Clinton O'Neil, e il vicepremier libico, Ahmed Maiteeq.

Se questi accordi, che risalirebbero allo scorso anno, venissero confermati, saremmo davanti a una grave violazione dei diritti umani. La Ong Alarm Phone ha commentato su Twitter: "Sebbene non sia una sorpresa, ora è confermato che le autorità maltesi coordinano le intercettazioni in collaborazione con la Libia. Questo impedisce alle persone di fuggire da una zona di guerra e viola le convenzioni internazionali dei diritti dell'uomo". Le rivelazioni del giornale sono state respinte da Malta, che ha spiegato si tratterebbe semplicemente di colloqui bilaterali fra i due Paesi.

Il caso Bija in Italia

Sempre un articolo a firma di Nello Scavo, pubblicato lo scorso 4 ottobre, aveva trattato invece il caso della presenza del boss conosciuto come al-Bija ad un incontro ufficiale con funzionari italiani. L'indagine trattava di un incontro a Roma in cui si era studiato un modello di gestione dell'accoglienza da replicare in Libia. Un'altra volta, invece, al-Bija si era recato in Italia per una visita al comando generale della Guardia costiera di Roma,  a cui i funzionari libici e alcuni rappresentanti dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), avrebbero partecipato nell'ambito di un progetto descritto come "un’importante opportunità per trattare argomenti cruciali quali la ricerca e il salvataggio della vita umana in mare, il border control, l’attuale divisione delle aree SAR nel Mediterraneo centrale e il progetto di cooperazione tra Italia e Libia".

Ma chi è al-Bija? Secondo alcune fonti militari di Zawiya al-Bija sarebbe il "capo indiscusso del traffico dei migranti", tanto che "o i trafficanti pagano o al-Bija sguinzaglia i suoi uomini per attaccare le imbarcazioni". Al-Bija viene inoltre definito come la figura al vertice della gestione del centro di detenzione di Zawiya, in cui varie volte sono stati documentati i metodi brutali riservati ai migranti. Lo scorso giugno 2018 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva inserito al-Bija nella lista degli individui sottoposti a sanzione.

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