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Mattarella concede la grazia a Umberto Bossi, condannato per aver chiamato “terrone” Napolitano

Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha concesso la grazia all’ex segretario della Lega, Umberto Bossi, condannato a 18 mesi per vilipendio nel 2018. Aveva definito “terrone” il capo dello Stato emerito Giorgio Napolitano e gli aveva fatto il gesto delle corna durante un comizio in provincia di Bergamo.
A cura di Annalisa Girardi
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Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha concesso la grazia all'ex segretario della Lega, Umberto Bossi, condannato a oltre un anno per vilipendio in quanto aveva definito "terrone" il capo dello Stato emerito, Giorgio Napolitano, e gli aveva fatto il gesto delle corna durante un comizio ad Albino, in provincia di Bergamo, nel 2011. "Sono molto contento, ringrazio sia il presidente della Repubblica Mattarella, che il presidente Napolitano", ha commentato il senatore, che era stato condannato a 18 mesi di reclusione.

È stato lo stesso Napolitano ad aver dato il via libera al provvedimento: "Nessun motivo di risentimento", ha commentato. In seguito al comizio del 2011 erano scoppiate le polemiche e decine di cittadini avevano presentato delle querele che hanno poi fatto partire l'iter giudiziario. Si contestava un "attacco sovversivo contro l'unità d'Italia e i suoi organi costituzionali". Nel 2018 era poi arrivata la condanna definitiva, nonostante i legali dell'ex segretario del Carroccio avessero affermato che le affermazioni rientravano nell'esercizio delle funzioni istituzionali del senatore.

In una nota del Quirinale si precisa che "nel valutare la domanda di grazia, in ordine alla quale il Ministro della Giustizia ha formulato un avviso non ostativo, il Presidente della Repubblica ha tenuto conto del parere favorevole espresso dal Procuratore generale, delle condizioni di salute del condannato, nonché della circostanza che in relazione alle espressioni per le quali è intervenuta la condanna il Presidente emerito Giorgio Napolitano ha dichiarato di non avere nei confronti del condannato alcun motivo di risentimento".

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