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Reddito di cittadinanza, le ultime notizie

Marattin (Iv) a Fanpage.it: “Aboliremo il reddito di cittadinanza, raccolta firme solo rimandata”

La raccolta firme per abolire il Reddito di cittadinanza, annunciata da Matteo Renzi, non è ancora partita. In un’intervista a Fanpage.it Luigi Marattin (Iv) assicura che il progetto di promuovere un referendum abrogativo è solo rimandato: “Confermiamo l’intento di portare avanti questa nostra proposta politica”.
A cura di Annalisa Cangemi
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Che fine ha fatto la raccolta firme per abolire il reddito di cittadinanza proposta da Italia viva? Matteo Renzi l'aveva annunciata più di un mese fa, ritenendo la misura uno spreco di risorse: "Vogliamo abolire il reddito di cittadinanza e come previsto dalla legge dal 15 giugno partirà la raccolta ufficiale di firme. Ma vogliamo soprattutto cambiare il mondo del lavoro per i più giovani", aveva scritto. Ma in termini di legge è impossibile che un referendum abrogativo per cancellare la misura possa tenersi prima del 2024 (dopo aver depositato le firme in Cassazione entro il 30 settembre 2023, e dunque andando a votare eventualmente nella finestra tra il 15 aprile e il 15 giugno 2024).

Non è la prima volta che Renzi avanza una proposta simile. Lo aveva già fatto l'anno scorso, annunciando la volontà di cancellare la misura bandiera del Movimento Cinque Stelle. Era luglio del 2021, e il leader di Italia viva prometteva un un referendum abrogativo dopo l’elezione del Presidente della Repubblica, che si è tenuta a gennaio. Ad agosto, nella sua consueta enews, proponeva di trovare "500mila firme, casa per casa, tavolino per tavolino". Poi a settembre arriva la presentazione ufficiale del quesito, alle telecamere di Mediaset, che Renzi legge nell'edizione serale del Tg4. Ma dopo le dichiarazioni e i propositi l'operazione non decolla.

È probabile che con l'avvicinarsi del 12 giugno, data in cui si sono svolte le amministrative in quasi 1000 comuni italiani, Italia viva abbia voluto sollevare ancora una volta il tema, che infatti è stato uno degli argomenti più discussi di questa campagna elettorale, che ha visto Renzi e Meloni schierati dalla stessa parte. Abbiamo chiesto a Luigi Marattin, presidente della commissione Finanze della Camera, quali sono le tempistiche e quali sono le controproposte di Italia viva per sostituire il sussidio.

È partita la vostra raccolta firme per abolire il reddito di cittadinanza? Ci sarà modo di proporre un referendum entro questa legislatura?

No, per legge possiamo raccogliere le firme solo nella finestra ottobre 2022-gennaio 2023, e comunque anche in quel caso sempre la legge vieterebbe di svolgere il referendum prima delle elezioni politiche. Noi confermiamo l’intento di portare avanti questa nostra proposta politica (la sostituzione del reddito di cittadinanza con politiche diverse e secondo noi più giuste) spiegando agli italiani le nostre ragioni, e cercandone il consenso. Questo abbiamo detto e questo confermiamo. Ma le modalità con cui farlo, in relazione allo strumento referendario, sono quelle che detta la legge, non potrebbe essere altrimenti.

Cosa ne pensa della proposta del ministro Garavaglia di mantenere il reddito di cittadinanza a chi accetta un lavoro, per trovare gli stagionali mancanti?

Penso in primo luogo che sarebbe stato meglio se il ministro Garavaglia nel 2018 avesse evitato di votare (assieme a tutto il suo partito) e difendere il reddito di cittadinanza nella sua versione attuale, invece di pentirsene a scoppio ritardato. Nel merito penso invece, passando a esporre il nostro pacchetto di proposte alternative al reddito di cittadinanza, che per il milione circa di attuali beneficiari che può lavorare esso debba essere sostituito dall’imposta negativa. Mentre il reddito di cittadinanza ti paga per non lavorare, l’imposta negativa è il contrario: per i redditi particolarmente bassi, più ti impegni, più ti integro il salario. Facciamo un esempio, con numeri ovviamente casuali: se guadagni 5.000 euro l’anno, io Stato te lo maggioro del 70%. Se invece ne metti insieme 6.000 l’anno, la maggiorazione sale al 80%. Se accompagnata, come pure proponiamo, da una massiccia decontribuzione per i redditi bassi e bassissimi, questo produce un fortissimo incentivo al lavoro. Che è il vero modo, invece del sussidio, con cui si aiuta quel milione di persone.

Il Comitato scientifico per la valutazione del Reddito di cittadinanza, voluto da Orlando e guidato dalla professoressa Chiara Saraceno, diceva però che non vi è correlazione tra posti di lavoro mancanti e il sussidio. Perché siete convinti del contrario?

Il fenomeno dei posti vacanti ha molteplici cause, non solo una. È sbagliato – ma non mi sembra lo abbia detto nessuno – dire che la causa è solo il Rdc, ma è altrettanto sbagliato escluderlo dalle cause che producono questo fenomeno. Del resto, l’errore più comune che si fa è ragionare sull’importo medio del Rdc (588 euro al mese) e dire: "Poiché nessun salario è così basso – e se lo fosse ci sarebbe un problema ben più grave  – non è vero che il Rdc spiazza l’occupazione". In realtà il confronto non va fatto con i 588 euro medi, perché molto spesso a quelli si somma il reddito proveniente da un lavoro in nero, che può arrivare anche a 1.000 euro. Allora il vero confronto è tra i 1588 euro netti che si prendono dall’accoppiata Rdc+lavoro nero, e lo stipendio che deriverebbe da un lavoro regolare. È perfettamente intuibile che in tanti scelgano la prima opzione.

La sottosegretaria Guerra ha segnalato oggi che nel 2019, ultimo anno pre-covid, il Rdc aveva contribuito a far scendere la povertà in Italia dal 7 al 6,4 per cento. Cosa ne pensa?

Maria Cecilia è una collega accademica, e sa molto bene che per stabilire un nesso causale così netto tra un fenomeno e il suo presunto effetto, occorre un’analisi econometrica rigorosa. Io potrei rispondere che invece quella lieve riduzione della povertà è stato merito della crescita del Pil degli anni precedenti (2014-2017) pari almeno al triplo del tasso di crescita medio degli ultimi vent’anni. Ma il problema non si pone, perché nella nostra proposta alternativa c’è un sussidio di povertà per i circa 2 milioni di individui che oggi beneficiano del Rdc e che sono inabili al lavoro. Un sussidio però che, diversamente dal Rdc, abbia queste tre caratteristiche: 1) tenga conto del costo della vita, diverso tra città e aree non urbane; non per abbassare il livello del sussidio dato agli abitanti di queste ultime, ma per alzare quello dato agli abitanti delle prime; quello che conta per contrastare la povertà, infatti, è garantire il potere d’acquisto reale di beni e servizi primari, non certo un ammontare nominale. 2) modificare la scala di equivalenza, per far sì che siano avvantaggiate le famiglie numerose e non i single, come accade ora. È all’interno delle famiglie, infatti, che si annidano i pericoli maggiori della povertà. 3) coinvolgere maggiormente i comuni, che spesso conoscono per nome e cognome gli emarginati, e quindi sono meglio in grado di intervenire sulle cause e le dimensioni della povertà, che sono molteplici.

Chi vive in Italia da meno di 10 anni non percepisce il Rdc. Come si può intervenire per aiutare questa fascia della popolazione, visto che secondo l’istat 1 famiglia straniera su 3 (30,6%) vive in condizioni di povertà assoluta?

Però ha percepito il reddito di emergenza, creato durante la pandemia. Il "tabù" (per alcuni) è quindi già stato rotto; quindi, non penso ci siano obiezioni ad andare fino in fondo se davvero dovessimo decidere di cancellare il Rdc e sostituirlo con un pacchetto di misure più eque e più efficienti. Che è quello che intendiamo fare.

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