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Elezioni politiche 2022

Letta si rimangia anche l’allarme democratico, Meloni passeggia nel confronto prima delle elezioni

Il confronto fra Enrico Letta e Giorgia Meloni è stato una delusione: noia e fair play, con la sensazione che entrambi stiano pensando a cosa fare dopo il 25 settembre.
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Non che ci aspettassimo niente di diverso. Ma il dibattito fra Letta e Meloni, ospitato dal Corriere della Sera e moderato dal direttore Luciano Fontana, è stato davvero una delusione e ha riservato ben pochi spunti di discussione. In un clima di correttezza estrema, i due leader si sono confrontati per quasi due ore sui principali argomenti della campagna elettorale, senza praticamente mai farsi del male, quasi evitando le questioni più spinose o problematiche. Ha finito con il prevalere una generale sensazione di noia, o meglio, di irrilevanza del dibattito nel contesto di una campagna elettorale già dai toni spenti e monotoni.

Un ulteriore vantaggio per Giorgia Meloni, come se ne avesse bisogno. Un’altra occasione sprecata per Enrico Letta, che non incontrerà più la principale pretendente alla poltrona di Palazzo Chigi e si trova a dover recuperare parecchi punti di svantaggio nella corsa elettorale. Ma anche un problema per chi sperava di ottenere informazioni più chiare sulle intenzioni dei due leader nella delicata fase che il Paese si appresta a dover sostenere.

Per tagliare corto, Letta e Meloni hanno finito con il concordare su più punti di quanti avessero preventivato. L’atteggiamento prudente della leader di Fratelli d’Italia, impegnata in queste settimane più a evitare di commettere errori grossolani che a conquistare altri consensi, l’ha portata a essere molto conciliante su questioni fondamentali, come la collocazione euro-atlantica, le politiche fiscali e finanche sui diritti civili (Meloni ha ripetuto che non toccherà la legge sulle unioni civili, per esempio, senza che nessuno le ricordasse l’ostruzionismo di Fdi oppure l’appello di Salvini ai sindaci di destra affinché disubbidissero).

Di contro, Letta non ha attaccato, si è spesso detto contento che la sua avversaria avesse “cambiato idea” e ha tenuto un registro oltremodo pacato e misurato. Non inaspettato se si pensa che questa è da sempre la sua linea di condotta, piuttosto singolare se arriva dopo aver impostato un’intera campagna elettorale sull’allarme democratico e sul pericolo di una larga vittoria di una destra che la sua coalizione dipinge come illiberale, orbaniana, filoputiniana e via discorrendo. Se si eccettua qualche schermaglia sul presidenzialismo (di merito, peraltro) e qualche accenno a Orban, non c’è stata praticamente traccia della roboante campagna basata sul dualismo rosso/nero (non solo una trovata grafica). Insomma, archiviato anche l’allarme democratico, dimenticate le accuse di vicinanza a gruppi nostalgici o revisionisti, nessun accenno alle posizioni passate della sua interlocutrice. La parola "fascismo" la pronuncia direttamente lei, senza alcuna pressione.

Una timidezza che ha contraddistinto per la verità anche altri passaggi del dibattito. Il segretario del Pd non ha contestato con efficacia le proposte di Meloni sull’immigrazione, lasciandosi scappare anche un “non possiamo gestire da soli i flussi”, che sostanzialmente legittima la propaganda della destra fondata sul concetto di emergenza. È stato ad ascoltare sulla 194 (senza citare il caso Marche, dove Fdi propone e dispone), non ha praticamente mai nominato Salvini, Berlusconi e le contraddizioni nel centrodestra. Stessa trafila per i passaggi sulla giustizia e sul sovraffollamento delle carceri, sull’ambiente e sulla guerra in Ucraina, dove è mancato qualunque riferimento alle posizioni più volte espresse dagli alleati della Meloni su Putin e sulle sanzioni.

Il distacco nei sondaggi elettorali è decisivo

Paradossalmente, la parte più interessante del dibattito è quella riservata da Letta ai suoi alleati presenti e passati. Il segretario democratico si è lasciato scappare che con “Fratoianni e Bonelli abbiamo fatto un accordo elettorale, non faremo un governo insieme”, che mortifica gli alleati, non si capisce bene in cambio di cosa. E ha spiegato di essere contento della crescita del Movimento 5 stelle al Sud, perché “toglie un po’ di voti alla destra e rende contendibili alcuni collegi” (sì, lo so che cosa state pensando: ma allora non sarebbe stato meglio allearvi e vincere in molti uninominali?)

Il problema di fondo è che Letta nella rimonta ha smesso di sperare settimane fa. Si è trovato a fare i conti con poche risorse e tante contraddizioni, soprattutto delle precedenti gestioni del Pd. E più passa il tempo, più si vede che sta già pensando a cosa fare dal 26 settembre. Meloni, d’altro canto, sa normalmente come stare davanti alle telecamere e come parlare alla gente, figuriamoci se da una posizione di estremo vantaggio e contro avversari lacerati da divisioni interne e antipatie personali. Tutto già scritto, insomma.

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A Fanpage.it fin dagli inizi, sono condirettore e caporedattore dell'area politica. Attualmente nella redazione napoletana del giornale. Racconto storie, discuto di cose noiose e scrivo di politica e comunicazione. Senza pregiudizi.
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